INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/00065 presentata da BERNARDINI RITA (PARTITO DEMOCRATICO) in data 20080429

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Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-00065 presentata da RITA BERNARDINI martedi' 29 aprile 2008 nella seduta n.001 BERNARDINI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: sono prossimi a scadere i decreti di applicazione del regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario; nei confronti di numerosi detenuti, il durissimo regime speciale e' in atto da molti anni (per taluno dall'estate 1992, cioe' da ormai quattordici anni); nonostante la riforma del 2002, il regime speciale e' pur sempre - nei confronti del singolo detenuto - una forma di trattamento derogatoria, temporanea e di carattere straordinario (la norma e' infatti rubricata «Situazioni di emergenza»); i decreti applicativi (o di «rinnovo») emessi dal 1992 ad oggi, tutti praticamente uguali tra loro ad onta del principio della personalizzazione del trattamento detentivo e della pena, a giudizio dell'interrogante, risultano ispirati da una interpretazione assai discutibile della normativa in materia, per la quale - a proposito dei soggetti legati, al momento dell'arresto, ad associazioni criminali di stampo mafioso - sussisterebbe una «presunzione di persistenza dei collegamenti (del detenuto) con il gruppo criminale» che potrebbe essere superata soltanto dallo scioglimento del gruppo criminale ovvero dalla sopravvenuta collaborazione del detenuto con la giustizia; in tal modo si e' creata, per via d'interpretazione in malam partem e nella prassi, una norma che e' invece inesistente a livello normativo, per la quale il regime detentivo de quo sarebbe automaticamente (e necessariamente) applicabile a tutti gli imputati e/o condannati per associazione di tipo mafioso che non si siano determinati alla collaborazione; al contrario, secondo l'interrogante, non pare ammissibile sostenere che la «persistenza dei collegamenti» con l'associazione criminale di (originaria) appartenenza debba «presumersi» (nonostante anni ed anni di sottoposizione al particolare e restrittivo regime detentivo), mentre e' piu' aderente ai principi costituzionali ritenere che l'eventuale persistenza di collegamenti «criminali» del detenuto debba affermarsi sulla scorta di positivi elementi e concrete circostanze; in altri termini, da una parte sta la concezione del «41-bis» come regime non piu' eccezionale ma ordinario (anzi: perpetuo, almeno per certe categorie di detenuti); dall'altra parte quella (piu' adeguata gia' alla rubrica della norma, recante «Situazioni di emergenza») di istituto eccezionale da applicarsi rigorosamente «quando ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica» (peraltro, la prima impostazione presuppone che tali «gravi motivi» sussistano ininterrottamente, nel nostro Paese, da ormai quasi quattordici anni; da quando, cioe', l'articolo 41-bis ord. penit. e' stato introdotto ed immediatamente applicato); la nuova formulazione (intervenuta con la legge n. 279 del 2002) della norma citata ha introdotto un fondamentale ma trascurato passaggio, per il quale la sospensione del normale trattamento penitenziario e' possibile (sempre quando ricorrano i gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica) «nei confronti di detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1, dell'articolo 4-bis, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale terroristica o eversiva», di tal che tali elementi devono «esserci» (e cioe' risultare attualmente ed in positivo) e non possono in alcun modo essere presunti; la diversa opzione interpretativa sarebbe invece possibile a fronte di una disposizione di legge che consentisse o imponesse il particolare regime «...a meno che non vi siano elementi tali da far escludere la sussistenza di collegamenti...», anche perche' risulta addirittura ovvio come una cosa sia richiedere, al fine di legittimare l'adozione di un certo provvedimento, che «vi siano» elementi indicativi di attuali collegamenti del destinatario col mondo del crimine (ed allora occorre che tali elementi siano individuati e descritti): mentre tutt'altra e ben diversa cosa e' che - al contrario - esistano elementi tali da far escludere qualsiasi possibilita' di collegamenti di quella natura (le due differenti situazioni determinano una differente distribuzione dell'onere della prova dell'esistenza, ovvero dell'inesistenza, dei collegamenti in questione); la predetta sostanziale differenza e' stata tenuta ben presente dal legislatore allorche' ha «messo mano» all'aggiustamento dell'ordinamento penitenziario come d'altronde risulta, senza andare troppo lontano, proprio dal dato testuale dell'articolo 4-bis ord. penit., cosi' come deriva dalle modifiche introdotte dalla stessa legge n. 279 del 2002: «I benefici suddetti possono essere concessi ai detenuti ed agli internati per uno dei delitti di cui al primo periodo del presente comma purche' siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata...»; la prospettiva per la quale il restrittivo regime deve fondarsi sulla positiva emergenza di persistenti collegamenti del detenuto con l'associazione criminale ha gia' avuto, d'altra parte, significativo e ripetuto avallo in sede di verifica giurisdizionale dei decreti ministeriali: «nelle ipotesi in cui, come quella di specie, sia trascorso un cosi' rilevante periodo di tempo dalla commissione dei delitti ed il soggetto sia stato ristretto ininterrottamente nel medesimo regime restrittivo, l'ulteriore proroga deve essere supportata da circostanze recenti o fatti concreti da cui possa desumersi il perdurare del vincolo associativo e della posizione di preminenza un tempo rivestita dal soggetto. Ne' tale necessita' puo' ritenersi soddisfatta dal generico richiamo a «recenti indagini», quando si ometta di indicare la natura e l'entita' degli indizi che si assumono sopravvenuti. - Tale interpretazione della norma, che appare l'unica costituzionalmente corretta peraltro conforme alla nota giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze 349/93, 351/96 376/97), e' stata ora recepita dal testo novellato dell'articolo 41-bis, a seguito della modifica intervenuta con la legge n. 279/02, che ancora attribuisce la facolta' di sospendere in tutto o in parte le normali regole del trattamento penitenziario e rieducativo, alla presenza di «elementi tali da far desumere la sussistenza di collegamenti» con l'organizzazione criminale di appartenenza» (Tribunale di sorveglianza di Roma, ord. n. 3390/2003, Emmanuello A.; negli stessi termini, Tribunale di sorveglianza di Roma, ord. 2269/2003, Barreca S.; Tribunale di sorveglianza di Perugia, ord. n. 977/2003, Tagliavia F.; Tribunale di sorveglianza di Perugia, ord. n. 1280/2003, Barreca G.); secondo l'interrogante nella impostazione contestata si confondono i piani della permanenza del reato associativo (che pero' - e come noto - cessa con la sentenza di primo grado) e quello - ben diverso - della sussistenza attuale di collegamenti con l'associazione di provenienza, mentre (va ribadito con fermezza) e' la seconda condizione, e non gia' la prima, a legittimare il regime carcerario speciale; al contrario, i decreti applicativi sono stati sino ad oggi ispirati alla pretesa «massima d'esperienza» per rimane tale fino a prova (diabolica) del contrario: a quale il mafioso - o il camorrista «La regola principale della militanza nel gruppo mafioso... e' data dalla assoluta fedelta' all'associazione, alla quale si rimane legati anche nello stato di detenzione, e dalla quale, in quanto appartenenti, si ottengono mensilmente le risorse per il mantenimento della famiglia e per sostenere le spese legali e processuali»; ebbene, nel ribadire che non spetta al Ministro stabilire quando cessi la permanenza del reato, ma soltanto se sussistono collegamenti del (mafioso o ex) con l'associazione di appartenenza, deve rilevarsi la genericita' di tali assunti (difatti ripetuti indistintamente in tutti i decreti applicativi); a quanto risulta all'interrogante, nei decreti applicativi si legge che «il comportamento corretto (del detenuto) nel corso della detenzione, che e' regola per gli appartenenti alle organizzazioni di tipo mafioso, in nessun caso puo' essere interpretato come segno univoco della resipiscenza e cessazione di ogni pericolosita' sociale», il che svela l'automaticita' dell'applicazione dell'istituto: se si da' atto del corretto comportamento intramurario (e quindi - deve ritenersi - dell'insussistenza di tentativi di indebita comunicazione con l'esterno), l'asserita persistenza di contatti con l'associazione criminale non puo' che trovare fondamento in una presunzione assoluta ed insuperabile (se non, come s'e' detto, con la collaborazione); la rituale elencazione delle «pendenze» (cioe' dei procedimenti e processi in corso) del detenuto deve essere letta alla luce del presupposto che spesso (se non sempre) si tratta di processi per fatti assai datati, rivelatori quindi di cio' che era, e non gia' di cio' che attualmente e' il soggetto in questione; diversamente, dovrebbe ammettersi che la detenzione - ad onta dei princi'pi costituzionali - e' del tutto inutile ai fini della riabilitazione personale; i detenuti sottoposti al «41-bis» hanno rapporti assai rarefatti (non gia' con l'ambiente di provenienza, ma) addirittura con la loro stessa famiglia, essendo ristretti in localita' lontane dai luoghi d'origine, ed essendo decisamente «disincentivante» l'unico colloquio mensile, della durata di un'ora, attraverso uno spesso vetro divisorio; pur tuttavia cio' non e' tenuto mai in considerazione nella «presunzione di mantenimento di contatti con l'associazione criminale di appartenenza», trattandosi invece della rappresentazione piu' eloquente non soltanto della mancanza di contatti «criminali», ma addirittura di un progressivo isolamento personale dei soggetti, dalle preoccupanti conseguenze sul piano dell'equilibrio personale e della stessa salute mentale; negli anni scorsi centinaia di detenuti sottoposti al regime speciale (non vi e' mai stato modo di stabilirne il numero esatto) chiesero, tanto formalmente quanto inutilmente, che i colloqui fossero videoregistrati per verificarne il contenuto verbale e «mimico», con rinuncia scritta ad ogni profilo di privacy (anche da parte del parente ammesso al colloquio, che firmava una «liberatoria» in tal senso), se a cio' aggiungiamo che la posta di tali detenuti e' gia' interamente sottoposta a censura, la misura avrebbe consentito di azzerare qualsiasi rischio di indebite comunicazioni, consentendo colloqui in numero e con modalita' ordinarie; ma forse proprio per questo, la richiesta non ha mai avuto seguito; la stessa sussistenza dei presupposti «oggettivi» per la sospensione dell'ordinario regime carcerario (la ricorrenza di «gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica») e' stata sinora affermata e ritenuta nei seguenti termini: «Per cio' che in particolare riguarda "cosa nostra" e le altre associazioni criminali similari, la maturate esperienze consentono di affermare che l'operativita' e gli interessi dell'organizzazione frequentemente prescindono dalla manifesta commissione di reati. Spesso pertanto il "silenzio" e' frutto di una strategia per determinare cali di tensione nell'attivita' di contrasto istituzionale e promuovere il rilancio delle attivita' criminali e di controllo sul territorio»; con il che, secondo l'interrogante, il Ministro, esplicitamente, ha dato atto della insussistenza, allo stato, di quella particolare situazione «esterna» che legittima l'inasprimento del regime detentivo, ma ha mostrato di ritenere che il «41-bis» possa impedire il «rilancio» delle attivita' criminali; la norma non autorizza affatto tale «applicazione in via preventiva» dell'(un tempo, ma ormai non piu') eccezionale regime, che continua ad essere legato ad obiettivi fattori, riassunti nella formula «gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica»; previsione indiscutibilmente «aperta», ma che certo non consente di giungere al paradosso per il quale l'assenza di manifestazioni criminali equivarrebbe alla drammatica situazione che, a partire dalla primavera/estate del 1992 (basti rammentare la tragica escalation omicidio Lima, strage di Capaci, strage di Via D'Amelio, attentati a Roma e Firenze) provoco' l'introduzione del regime detentivo; a giudizio dell'interrogante, cio' e' la riprova che il regime differenziato e' divenuto, nella prospettiva ministeriale, una normale modalita' di detenzione e di espiazione della pena per certe categorie di detenuti, indipendentemente dalla reale sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive che ne autorizzano l'applicazione; in conclusione, appare chiaro che l'istituto della sospensione delle normali regole trattamentali all'interno dell'istituto di pena di cui all'articolo 41-bis ord. penit., per mantenersi nei limiti imposti dalla Carta costituzionale, deve rispondere a specifiche e determinate finalita' indicate dalla legge, quali la salvaguardia di esigenze di ordine e di sicurezza, e deve essere rivolto ad impedire i collegamenti dello specifico soggetto con l'associazione criminale, terroristica o eversiva d'appartenenza, mentre, allo stato, secondo l'interrogante, e' prevalsa la concezione di un sistema duramente punitivo, inadeguato ai fini che ufficialmente si propone, ed invece mirante unicamente a provocare la collaborazione del detenuto -: se ritenga necessario ed urgente riportare il sistema ai livelli di legalita' previsti dalla riforma legislativa intervenuta con la legge n. 279 del 2002, partendo almeno dalla immediata limitazione dei decreti applicativi o di proroga ai casi in cui sia concretamente emersa l'esistenza (o il tentativo) di contatti del detenuto con l'associazione criminale esterna, con il superamento di preconcettuali, indebite ed insuperabili «presunzioni» di segno opposto. (4-00065)
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INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/00065 presentata da BERNARDINI RITA (PARTITO DEMOCRATICO) in data 20080429 
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA (PARTITO DEMOCRATICO) 
BELTRANDI MARCO (PARTITO DEMOCRATICO) 
MECACCI MATTEO (PARTITO DEMOCRATICO) 
TURCO MAURIZIO (PARTITO DEMOCRATICO) 
ZAMPARUTTI ELISABETTA (PARTITO DEMOCRATICO) 
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