MOZIONE 1/00305 presentata da PISO VINCENZO (NUOVO CENTRODESTRA) in data 13/01/2014

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Atto Camera Mozione 1-00305 presentato da PISO Vincenzo testo presentato Lunedì 13 gennaio 2014 modificato Mercoledì 15 gennaio 2014, seduta n. 152 La Camera, premesso che: il patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria, («fiscal compact»), è un accordo approvato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 Stati membri dell'Unione europea, entrato in vigore il 1 o gennaio 2013 e riguarda principalmente i Paesi dell'Unione europea il cui sistema monetario è basato sull'euro. Il trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito e dalla Repubblica Ceca; il patto contiene una serie di regole, chiamate «regole d'oro», che sono vincolanti nell'Unione europea per il principio dell'equilibrio di bilancio; la maggior parte delle decisioni riguardanti l'imposizione fiscale e la spesa pubblica rimane di competenza dei Governi nazionali; il controllo sulla politica fiscale è tradizionalmente considerato centrale per la sovranità nazionale; l'Italia ha ampiamente dimostrato la propria buona volontà di procedere nel percorso di risanamento del bilancio, approvando, ben prima della gran parte degli Stati dell'Unione europea, le norme interne attuative del Patto di bilancio europeo: a) con la legge costituzionale n.1 del 2012 ha recepito nel proprio ordinamento la regola del pareggio di bilancio; b) con le leggi nn.114, 115 e 116 del 23 luglio 2012 sono stati ratificati i contenuti del «fiscal compact» e cioè la modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente a un «meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l'euro», il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (Esm o Mes); c) con la legge 24 dicembre 2012, n.243, si è modificato il ciclo annuale di bilancio per conformarlo alle esigenze comunitarie e sono stati introdotti più stringenti criteri per assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni; gli accordi comunitari prevedono l'inserimento, in ciascun ordinamento statale (con norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione nazionale ordinaria), di diverse clausole o vincoli tra le quali: a) l'obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio; b) la significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5 per cento) all'anno, fino al rapporto del 60 per cento sul prodotto interno lordo nell'arco di un ventennio; c) l'impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell'Unione e con la Commissione europea; d) l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3 per cento del prodotto interno lordo, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario, sono previste sanzioni semi-automatiche; il limite del 3 per cento del rapporto del rapporto deficit/prodotto interno lordo sussiste da circa 20 anni. Nel 1992 era uno dei criteri (cosiddetti di Maastricht) per l'accesso all'unione monetaria europea; nel 1997 è diventato la prescrizione del Patto di stabilità e crescita, lo strumento di coordinamento delle politiche fiscali tra i Paesi membri dell'area euro ed è sopravvissuto alle due riforme del 2005 e del 2011. È rimasto immutato anche con l'entrata in vigore del «fiscal compact» (il 1 o gennaio 2013), nonostante quest'ultimo vincolo si riferisca ad un diverso aggregato di finanza pubblica, vale a dire il disavanzo corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum ; i premi Nobel per l'economia Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al Presidente Obama, hanno affermato che: « (...) inserire nella costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida (...) aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione e le spese assistenziali. Queste spese fanno aumentare il deficit pubblico, anche se limitano la contrazione del reddito disponibile, del potere di acquisto e di conseguenza dei consumi; (...) in una economia recessiva (...)», sostengono i Nobel «(...) è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole»; secondo l'economista e premio Nobel Paul Krugman, l'inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio può portare alla dissoluzione dello stato sociale; tuttavia, per la particolare natura della struttura della spesa italiana, nella quale sono assicurati anche sotto il profilo costituzionale i «livelli essenziali di assistenza» e le spese sociali e assistenziali sono considerate, anche in termini contabili, obbligatorie e non comprimibili, il rischio può consistere anche nella riduzione, sino a termini di insignificanza, di tutte le altre categorie di spesa; ove si esaminino i trend di spesa, comunque, ripartiti, da anni si registra una diminuzione di tutte le categorie di spesa: dagli investimenti, ai consumi intermedi, alle spese di funzionamento delle amministrazioni, alle spese dei comuni e delle regioni; per i dipendenti pubblici, che sono numericamente in diminuzione, da tre anni sussiste il blocco dei rinnovi contrattuali; solo la spesa sociale (e la connessa spesa sanitaria) crescono in media del 2 per cento l'anno; gioverà ricordare che l'eccesso di spesa sociale è stato determinante nel crollo economico della Grecia; nel mese di giugno 2013 l'Italia è uscita dalla procedura d'infrazione comunitaria per il superamento del vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/prodotto interno lordo; tuttavia, anche il solo provvedimento di restituzione alle imprese delle somme dovute dalla pubblica amministrazione per appalti e forniture, ha riportato l'Italia in prossimità della suddetta soglia e nell'autunno del 2013 il Governo Letta è dovuto intervenire con una «manovrina correttiva» al fine di evitare ulteriori rischi di sforamento; peraltro, la gran parte dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi, mentre alcuni di essi hanno potuto, su autorizzazione comunitaria, sforare il tetto del 3 per cento, sia pure in presenza di un debito pubblico assoluto assai inferiore a quello italiano; il meccanismo di rientro del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5 per cento) all'anno, fino al rapporto del 60 per cento sul prodotto interno lordo nell'arco di un ventennio, oltre al finanziamento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), comportano la possibilità che, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilanci, l'Italia possa essere obbligata a manovre da 40-50 miliardi di euro all'anno, a seconda dei tassi che il Paese dovrà pagare per finanziare il debito sovrano; in termini pratici, per cittadini e imprese, il complesso dei vincoli comunitari e delle norme sopra descritte potrebbe comportare una crescita non controllabile, per non dire automatica, della pressione fiscale, in presenza di una riduzione dei servizi, impegna il Governo: ad intervenire in sede di Unione europea, con tutta l'autorità che deriva dall'aver svolto a pieno, prima e meglio di altri Paesi dell'Unione europea, tutti gli impegni assunti con il Trattato comunitario sulla stabilità, coordinamento e governance , al fine di provvedere alla sollecita revisione dei vincoli derivanti dal Trattato sul «fiscal compact» e dal pareggio di bilancio, al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico, nonché ad attenuare l'attuale rigidità delle metodologie con le quali è calcolato il vincolo del 3 per cento del rapporto debito/prodotto interno lordo; ad individuare in sede comunitaria meccanismi che consentano di escludere le spese destinate allo sviluppo economico, ivi comprese quelle che consentano la riduzione del carico fiscale sulle imprese, dai vincoli del Patto di stabilità comunitario; ad individuare meccanismi interni, ivi compresa la modifica della classificazione contabile, che consentano di tenere sotto controllo la crescita automatica della spesa sociale ed assistenziale. (1-00305) « Piso , Dorina Bianchi ».
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