MOZIONE 1/00336 presentata da DI PIETRO ANTONIO (ITALIA DEI VALORI) in data 20100303

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Atto Camera Mozione 1-00336 presentata da ANTONIO DI PIETRO testo di mercoledi' 3 marzo 2010, seduta n.293 La Camera, premesso che: la recessione mondiale si e' arrestata e si sta ora profilando - secondo la Banca d'Italia - una modesta ripresa, in larga parte grazie al sostegno delle politiche economiche espansive adottate dai principali Paesi ad esclusione dell'Italia; secondo le previsioni degli organismi internazionali, tuttavia, la ripresa si presenterebbe con ritmi contenuti. Rimane molto elevata l'incertezza sulla sua solidita': vi e' il rischio che con il venir meno degli stimoli fiscali e monetari, e una volta esaurito il ciclo di ricostituzione delle scorte, la domanda privata possa tornare a ristagnare, frenata in molte economie da una disoccupazione elevata e crescente, dalla limitata disponibilita' di credito e dall'esigenza delle famiglie di risanare i propri bilanci; la Banca centrale europea nel suo bollettino del febbraio scorso prevede che la ripresa nel corso del 2010 proseguira' a ritmo «moderato» e «discontinuo». Sul piano internazionale la ripresa economica - secondo la Commissione dell'Unione europea) - resta «debole» e soprattutto «fragile». Il maggior fattore di rischio per l'economia resta la volatilita' dei mercati finanziari. Lo stesso Cancelliere dello Scacchiere, Aslistair Darling, il 5 febbraio scorso dichiarava che, «oggi, nessuno puo' dire che siamo fuori dalla crisi»; secondo il governatore della Banca d'Italia: «Il ritorno alla crescita e' ancora fragile, segnatamente nell'area dell'euro. L'occupazione tarda a riprendersi. Le condizioni del credito alle piccole e medie imprese, tuttora stringenti, frenano la ripresa. In Italia lo scorso anno il prodotto e' diminuito di quasi il 5 per cento. Se ne prevede un recupero lento, con ampie incertezze legate in particolare agli andamenti del ciclo internazionale e alle condizioni del mercato del lavoro. Per molte nostre imprese si sono aggravate difficolta' strutturali preesistenti... Alla fine dello scorso anno vi erano in Italia oltre 600.000 occupati in meno rispetto al massimo del luglio 2008. La quota di popolazione potenzialmente attiva che e' al momento forzatamente inoperosa e' elevata e crescente. Finche' la flessione dell'occupazione non s'inverte permane il rischio di ripercussioni sui consumi, quindi sul prodotto»; se la crisi «e' alle spalle» - come dice il nostro Governo - essa e', forse, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, alle spalle di qualche istituto finanziario. Ma Confindustria e Confcommercio sono preoccupate e le organizzazioni sindacali si mobilitano anche perche' nel 2010 scadono le casse integrazioni ordinarie per 400 mila lavoratori, aumentano la disoccupazione, i livelli di poverta', le sperequazioni dei redditi e le prospettive sono per ulteriori chiusure di fabbriche e di perdita di posti di lavoro; il 2009 e' stato un anno difficile per il nostro Paese. L'Istat sostiene che nel 2009 il Pil e' diminuito del 5 per cento e la produzione industriale e' calata, rispetto a un anno prima, del 17,4 per cento. Nel 2009 inoltre e' salita anche la pressione fiscale passata al 43,2 per cento dal 42,9 per cento dell'anno precedente. Secondo lo stesso Istituto, bisogna risalire addirittura al 1945 per trovare in Italia una diminuzione del Pil totale e per abitante superiore a quella registrata nel 2009; nel corso dell'anno 2009 le esportazioni italiane sono diminuite di quasi il 21 per cento, il peggior risultato degli ultimi 40 anni. Pur in un contesto di domanda mondiale piu' favorevole, i dati disponibili degli ultimi mesi sulle nostre esportazioni ne segnalano una persistente debolezza; la crisi che sta allentando la presa sul PIL, pesa ora soprattutto sul mondo del lavoro: nel nostro Paese il tasso di disoccupazione - secondo l'Istat - da gennaio 2009 a gennaio 2010 e' salito dal 6,8 per cento all'8,6 per cento, ed esso continuera' a salire nei prossimi mesi perche' la reazione del mercato del lavoro si muove con ritardo rispetto al ciclo economico. Confindustria stessa stima che i disoccupati, tenendo conto dei lavoratori in cassa integrazione, abbiano ormai gia' raggiunto quota 10 per cento della popolazione attiva. La domanda non potra' che restare sotto tono: l'andamento del PIL non basta a definire se la crisi e' finita e non puo' rappresentare l'unica guida per le politiche economiche; nell'ultimo trentennio, in Italia e nel resto del mondo, si e' affermata una tendenza di lungo periodo che penalizza i redditi della stragrande maggioranza delle classi medie, lavoratori dipendenti e quanti ad essi assimilabili per condizione di lavoro. Le disparita' di reddito sono tornate ad aumentare fino a livelli che erano normali negli anni '20, ma che si riteneva fossero stati eliminati. Questo e' accaduto per l'abbandono della politica di piena occupazione e per la deregolamentazione del sistema finanziario. Il welfare state come base del contratto sociale e' stato sostituito dall'accesso al credito. I poveri hanno cercato protezione nell'indebitamento e sono stati coinvolti nella finanziarizzazione dell'economia, contribuendo ad alimentare bolle speculative, fino al crollo e a una crisi che e' insieme economica, politica e umana; ma le cause storiche e strutturali (distribuzione troppo sperequata dei redditi, bassa produttivita', peso eccessivo del settore pubblico) della stagnazione italiana che dura da almeno dieci anni e sta penalizzando il lavoro dipendente e il settore privato piu' in generale, che accentua la degenerazione improduttiva e clientelare dell' apparato statale e del settore dei servizi pubblici, sono principalmente endogene; infatti, la crisi dell'economia italiana non si identifica del tutto con quella mondiale. Superata la crisi mondiale, non sara' per cio' stesso risolto il problema economico italiano. Questo e' ben piu' grave e ha natura specifica. E risalente nel tempo. A differenza di quello mondiale, e' reale e non finanziario, strutturale piu' che ciclico; tra il luglio 2008 ed il dicembre 2009, l'Italia ha perso 600.000 posti di lavoro, ha piu' che triplicato la cassa integrazione e le piccole e medie imprese hanno ridotto in media del 30-40 per cento il loro fatturato; nel 2010, secondo le «previsioni intermedie» della Commissione UE, la crescita nel nostro Paese, dopo la caduta del 5 per cento del 2009 (dato Istat), sara' pari ad appena lo 0,7 per cento mentre la Germania e la Francia cresceranno dell'1,2 per cento; si tratta essenzialmente di un effetto rimbalzo dovuto all'accumularsi delle scorte di magazzino, che restano comunque al di sotto dei valori considerati normali. Il basso tasso di utilizzo della capacita' dell'industria non favorira' gli investimenti ne tantomeno l'occupazione, che peggiorera' sia nel 2010 che nel 2011, data la scadenza degli ammortizzatori sociali a partire dalla cassa integrazione ordinaria. Esiste concretamente il rischio di inevitabili tensioni sociali date dai processi di licenziamento di massa, con imprese e lavoratori che hanno invece bisogno di solidi accordi per mantenere il sistema Paese dentro la competizione internazionale, con intatto il patrimonio piu' importante che abbiamo, quale la professionalita' e la capacita' dei nostri ricercatori, tecnici e operai; l'Italia rappresenta il fanalino di coda sugli stipendi: dalla classifica 2008, a parita' di potere d'acquisto, il nostro Paese occupa il ventitreesimo posto sui trenta paesi dell'Ocse, con un salario medio netto annuo che ammonta a 21.374 dollari, pari a poco piu' di 14.700 euro. Lo rileva l'Eurispes nel «Rapporto Italia 2010», dove si legge inoltre, che a pesare ulteriormente sulle buste paga degli italiani e' il cuneo fiscale. L'Italia occupa la ventitreesima posizione e supera solo il Portogallo, la Repubblica Ceca, la Turchia, la Polonia, la Slovacchia, l'Ungheria ed il Messico; volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che e' inferiore del 44 per cento rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32 per cento in meno di quello irlandese, il 28 per cento in meno di un tedesco, il 19 per cento in meno di un greco, il 18 per cento in meno del cittadino francese e il 14 per cento in meno di quello spagnolo; inoltre, dal confronto con altri paesi dell'OCSE, emerge che l'Italia e' ai primi posti per cuneo fiscale, ossia la parte di costo del lavoro che finisce nelle tasche dello Stato. Nel 2008, lo Stato si e' preso il 46,5 per cento del salario lordo dei lavoratori; la crescita media della produttivita' del lavoro nel settore manifatturiero durante il decennio 1990-2000 e' stata solo del 2,3 per cento in Italia, mentre e' stata pari al 4,2 per cento in Francia e del 4 per cento negli USA; e' quindi l'intero «sistema Paese», quello economico e amministrativo, che deve essere rinnovato per renderlo capace di sostenere la forza innovativa delle nostre imprese sia sul mercato nazionale che internazionale, attraverso l'accesso al credito a tassi di interessi moderati e attraverso il sostegno nelle strategie di esportazione; un «sistema Paese» deve avere una visione e promuovere investimenti a lungo termine in nuove infrastrutture, nuove tecnologie, ricerca e universita' per le sfide del futuro; in attesa di una politica europea comune di rilancio dell'economia, il sostegno alla domanda deve partire a livello nazionale; certo, l'azione di sostegno alla domanda nel nostro Paese e' limitata dal debito pubblico del passato. Gli interventi attuati finora per attenuare i costi sociali della recessione hanno soprattutto utilizzato risorse gia' stanziate per altri impieghi; poco o niente ha fatto il Governo per l'anno 2010, se non qualche timida estensione degli ammortizzatori sociali. Si insiste - e senza neanche troppa convinzione - su una politica a pioggia volta solo a ridurre i costi di produzione, quando siamo di fronte ovunque ad un crollo dei consumi del settore privato; la competizione sui costi per tentare di attrarre o di mantenere una parte della domanda su scala internazionale attualmente depressa e' una politica illusoria poiche' le produzioni labour intensive, senza l'anello fondamentale della ricerca e dell'innovazione tecnologica, sono ormai trasferite in altre parti del mondo; il Governo italiano non ha fatto dell'innovazione il settore strategico della politica di sviluppo e lo strumento piu' importante per uscire dalla crisi, ma ha puntato sulla politica delle mega-infrastrutture, come il Ponte sullo Stretto, che non mobilitano a breve l'attivita' economica e che in alcuni casi hanno effetti dubbi sullo sviluppo a lungo termine; l'unico vero intervento di «politica industriale» del Governo e' stata la privatizzazione dell'Alitalia a favore di un gruppo di imprenditori italiani la cui funzione e' sostanzialmente quella di traghettare la compagnia verso Air France-KLM. Rispetto all'accordo con Air France del 2008, il maggior costo della privatizzazione e costituzione della nuova Alitalia si colloca - secondo una stima avanzata da piu' parti - tra i 2,8 ed i 4,4 miliardi di euro; la mancanza di una guida pubblica o di concertazione impedisce un cambiamento delle aspettative degli operatori privati, che sono diventate di breve respiro e, quindi, un rilancio degli investimenti a medio termine; in poche parole, il Governo italiano sembra aspettare che la crisi mondiale sia superata e che riparta la domanda globale. Aspettare che la crisi internazionale sia superata e' solo aspettare un aggravamento della crisi italiana. Esso pertanto, coltiva una speranza illusoria, tanto e' vero che a differenza di altri Paesi europei, sta subendo il ricatto di molte multinazionali senza reagire, mentre pezzi importanti dell'apparato produttivo italiano si spostano in Germania, in Francia e nel Nord Europa; la caduta del Pil italiano nel 2009 del 5 per cento, e' imputabile al calo della domanda interna, consumi e investimenti, ed alla diminuzione delle esportazioni diminuite del 20,7 per cento in un anno. La crescita annua della produttivita' del lavoro gia' nel 1992-2000 fletteva del 2,7 per cento (1,7 per cento nell'intera economia) rispetto a una crescita del 4 per cento degli anni '80; la crescita e' stata frenata dalla finanza pubblica, dalla crescita fuori controllo della spesa corrente pubblica, dal numero eccessivo dei dipendenti pubblici, dall'inadeguatezza delle infrastrutture, dal perdurante nanismo delle imprese, dallo scemare della concorrenza. Esiste dunque per il nostro Paese il forte rischio di una ricaduta recessiva. Gli incagli e le sofferenze sui prestiti alle imprese, in rapido aumento, possono infliggere serie perdite alle banche, bloccare il credito agli investimenti. La caduta dell'occupazione puo' tagliare i consumi. Il debito pubblico si potrebbe avvitare in una spirale viziosa; il sistema economico italiano, se pure colpito in misura minore sul lato della stabilita' finanziaria degli istituti di credito, presenta pero' una maggior debolezza strutturale sotto due aspetti fondamentali. Il primo consiste nella proporzione delle quote distributive del reddito nazionale. La bassa quota dei redditi da lavoro comporta una tale debolezza della domanda aggregata nella componente interna da creare una pericolosa dipendenza dalla componente estera. Il secondo aspetto e' costituito dalla struttura della base produttiva e dal drammatico rallentamento delle dinamiche della produttivita' rispetto agli altri Paesi; assicurare quindi un esito positivo alle manovre anticrisi occorre procedere in due direzioni: rimuovere le rigidita' dell'offerta e realizzare una crescita della produttivita'. La prima richiede una politica economica orientata alla ristrutturazione produttiva, cioe' a cambiare, modernizzare, trasformare, migliorare l'apparato produttivo del paese. Ci sono settori strategici da sviluppare, ci sono aree e settori in crisi da ristrutturare. La seconda richiede una mobilitazione e un coordinamento di tutti i possibili strumenti di intervento per stimolare l'innovazione non soltanto di carattere strettamente tecnologico, ma anche di carattere gestionale, organizzativo, strategico ed anche istituzionale; si devono affrontare le radici della crisi finanziaria, economica, ecologica: il non rispetto dello regole, l'affanno del breve termine, la crescita delle diseguaglianze sociali e lo sfruttamento irresponsabile della natura; il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo deve passare su un piu' forte programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca, coerente cori il nostro progetto di civilta'. L'innovazione deve diventare la bussola della nostra politica dal lato dell'offerta; le piccole e medie imprese vanno aiutate ed indirizzate verso l'innovazione, la crescita dimensionale, la conquista di nuovi mercati. È innegabile che, specie in Italia, le aziende devono essere aiutate a fare passi in avanti nella loro aggregazione e verso una maggiore capitalizzazione, anche attraverso una massiccia opera di sburocratizzazione delle procedure. L'Italia e' un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle piccole o medie imprese, ma che ha un sistema economico molto chiuso, carente di quella capacita' di innovare che e' la molla necessaria per la competitivita'. L'ovvia conseguenza e' che le piccole e medie imprese dell'Italia risultano avere un livello di capitalizzazione basso; secondo Draghi, «a dicembre i prestiti alle imprese erano del 3 per cento inferiori a quelli del dicembre 2008. Da un lato, se ne era ridotta la domanda, per la forte flessione degli investimenti; dall'altro, incideva l'accresciuta cautela delle banche nell'offrire finanziamenti in una fase di profonda recessione»; alla fine di dicembre - secondo quanto riporta l'outlook mensile dell'ABI - le sofferenze lorde hanno raggiunto quota 59 miliardi di euro, circa un miliardo in piu' rispetto a novembre 2009, quasi 18 miliardi in piu' rispetto a fine 2008 con un incremento di circa il 43 per cento; il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese istituito dal Governo Prodi in 9 anni di attivita', ha ammesso alla garanzia del fondo stesso oltre 58 mila operazioni finanziarie per un totale di finanziamenti garantiti pari a 11,2 miliardi di euro; appare evidente come l'entita' dei finanziamenti a disposizione, il tetto dell'importo garantito, le percentuali su cui si applica la garanzia siano del tutto insufficienti e non consentano di fornire un sostegno adeguato alle piccole e medie imprese, incluse le imprese artigiane, in particolare in questa fase di crisi; in Italia, il tasso di crescita dei prestiti si e' ridotto, nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese; le piccole e medie imprese risultano fortemente penalizzate dall'applicazione dell'accordo di Basilea due, sia in termini di possibilita' di accesso al credito, sia in termini di aumento dei tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso; in queste circostanze e' fondamentale migliorare il sistema del credito nei confronti delle piccole e medie imprese che, non si deve dimenticare, sono il motore della nostra economia; siamo il Paese europeo a piu' alto tasso burocratico, dove e' stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che alle microimprese costa 11,4 miliardi l'anno in oneri. L'avvio di una nuova attivita' imprenditoriale resta la fase burocraticamente piu' critica sia per i tempi (con 5-6 mesi, sono tra i piu' alti in Europa), sia per quanto concerne i costi (superiori del 67,2 per cento rispetto alla media europea). Ogni anno le oltre 400.000 nuove imprese italiane, per il loro avvio, bruciano in burocrazia 170 milioni di euro in piu' rispetto alla media degli altri Paesi europei, pari ad un aggravio di oltre 400 euro in piu' per ogni nuova impresa; l'Italia ha un debito pubblico di un ordine di grandezza superiore a quello della Grecia (1.761 miliardi contro i 298 miliardi greci), un debito senza uguali (115 per cento) e prospettive inquietanti per i suoi conti pubblici, come segnalato da un articolo del New York Times del 23 febbraio 2010. L'articolo del New York Times, infatti, rivelando come la Grecia abbia mascherato i propri conti pubblici attraverso dei meccanismi di trading valutario che hanno consentito ad Atene di aggirare il Patto di stabilita' nascondendo alle autorita' di Bruxelles miliardi di debiti, cita anche l'Italia fra quei Paesi i cui Governi hanno fatto ricorso alla consulenza delle grandi banche americane (Goldman Sachs e JP Morgan Chase) per delle operazioni di «chirurgia estetica» che hanno dissimulato la vera entita' dei deficit pubblici; emerge, dunque, l'esigenza di una diversa politica economica che risponda alla crisi attuale rilanciando la domanda interna, la nostra capacita' di competere sui nuovi mercati internazionali dei paesi emergenti con la qualita' dei nostri prodotti, che accompagni il nostro sistema produttivo verso la green economy, o per meglio dire verso una riconversione ecologica del nostro modello di sviluppo e della nostra societa'; occorre investire sulla modernizzazione ecologica dell'economia tramite la riconversione dell'insieme delle attivita' produttive e dei servizi, riconversione che puo' essere l'occasione per centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro qualificati nelle energie rinnovabili, nell'edilizia, nei trasporti, in agricoltura, nella manutenzione, nel rifornimento dei materiali, nella riparazione, nel riciclaggio, nel commercio locale, nella ricerca e nell'innovazione o nella protezione degli ecosistemi; per realizzare tale strategia occorre operare su piu' piani e programmare interventi e politiche pluriennali quali: implementare un sistema universale di ammortizzatori sociali validi per tutti lavoratori a partire dalla loro estensione ai lavoratori cosi' detti «atipici»; salvaguardare i livelli occupazionali prevedendo il ricorso generalizzato ai contratti di solidarieta'; semplificare, una volta per tutte, gli oneri amministrativi a carico delle imprese relativi all'avvio delle loro attivita'; prevedere la deduzione graduale del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese, per non penalizzare l'occupazione; prevedere per la piccola impresa e per l'artigianato il pagamento dell'IVA al momento in cui si incassano le fatture; escludere dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilita' interno le spese per investimenti dei comuni virtuosi, consentendo cosi' il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, immediatamente cantierabili, adatte all'intervento delle piccole e medie imprese, e creando un volano per le attivita' economiche, con un effetto di traino tanto piu' prezioso in questa fase di crisi economica ed occupazionale tenendo anche conto che le spese degli enti locali per le opere pubbliche rappresentano piu' del 60 per cento delle spese in conto capitale delle nostre pubbliche amministrazioni; presentare al piu' presto un piano di rientro del debito pubblico con una serie di tappe di abbattimento che rassicuri i mercati e scongiuri crisi di fiducia tipo quella che sta coinvolgendo Grecia e Spagna; nonche' porre in essere una politica economica ed industriale volta: allo sviluppo della green economy (incentivazione del risparmio energetico, sostegno alla ricerca per ottenere nuovi modelli di veicoli non inquinanti, incentivi per le energie rinnovabili, messa in sicurezza dell'assetto idro-geologico del territorio nazionale; messa in sicurezza degli edifici scolastici; attuazione del Protocollo di Kyoto); a concentrare le risorse per le opere pubbliche su alcune infrastrutture prioritarie, in particolare per quanto concerne le aree meridionali sottodotate; a investire sul capitale umano, favorire l'innovazione e la ricerca, rafforzando il credito d'imposta per l'innovazione a favore delle aziende, un adeguato finanziamento della banda larga garantendo l'accesso gratuito ad internet per tutti ed assicurando piu' risorse per la scuola, l'universita' e la ricerca scientifica e tecnologica; a ridurre le barriere a fare imprese in molti comparti, aprendo alla concorrenza molti settori dei servizi che ancora mantengono barriere amministrative, dare attuazione ai «Provvedimenti Bersani»; ad accelerare la liberalizzazione dei servizi pubblici locali con l'esclusione del servizio idrico, rafforzando nel contempo le authorities settoriali per consentire una maggiore tutela della concorrenza nei comparti di pubblica utilita'; ma tale nuova politica economica deve da subito compiere i primi passi, impegna il Governo: ad adottare iniziative immediate al fine di rilanciare la domanda interna ed il potere d'acquisto delle famiglie, sostenendo i redditi da lavoro e da pensione: a) raddoppiando la durata della cassa integrazione ordinaria da 52 a 104 settimane; b) aumentando le detrazioni fiscali per carichi familiari nonche' le detrazioni per i redditi da lavoro e da pensione; c) stabilendo in misura pari al 20 per cento la prima aliquota dell'Irpef; a sostenere finanziariamente le piccole e medie imprese, gli artigiani ed i commercianti assumendo le necessarie iniziative volte a garantire: a) l'estensione dell'attivita' di garanzia del fondo rivolto alle piccole e medie imprese, valutando la possibilita' di incrementare in maniera consistente le risorse a disposizione del fondo stesso, il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia; b) l'istituzione di un Fondo rotativo presso la Cassa depositi e prestiti per anticipare i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni; c) la fissazione al 20 per cento dell'aliquota Ires da applicare agli utili societari reinvestiti in azienda per favorirne la capitalizzazione; a recuperare le risorse necessarie a tali scopi attraverso un efficace contrasto all'evasione fiscale reintroducendo le norme introdotte del Governo Prodi e soppresse dall'attuale esecutivo, quali la tracciabilita' dei pagamenti, l'elenco clienti fornitori, e stabilendo pari al 20 per cento l'aliquota dell'imposta sui proventi derivanti dalla speculazione finanziaria; ad approntare una piu' globale riforma fiscale orientata a tassare meno i fattori produttivi, lavoro e capitale, e un po' di piu', i consumi di beni di lusso e le attivita' speculative, salvaguardando il principio costituzionale della progressivita' della tassazione in relazione ai livelli effettivi di reddito, tramite l'applicazione di tre aliquote ognuna pari al 20 per cento: 20 per cento come prima aliquota Irpef per alleggerire il peso fiscale dei redditi medio-bassi; 20 per cento come aliquota Ires da applicare agli utili societari reinvestiti in azienda; 20 per cento per la tassazione delle rendite derivanti dalle attivita' finanziarie speculative. (1-00336) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».
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20100303-20100317 
MOZIONE 1/00336 presentata da DI PIETRO ANTONIO (ITALIA DEI VALORI) in data 20100303 
MOZIONE 
BORGHESI ANTONIO (ITALIA DEI VALORI) 
DONADI MASSIMO (ITALIA DEI VALORI) 
EVANGELISTI FABIO (ITALIA DEI VALORI) 
RAZZI ANTONIO (ITALIA DEI VALORI) 
BARBATO FRANCESCO (ITALIA DEI VALORI) 
CAMBURSANO RENATO (ITALIA DEI VALORI) 
CIMADORO GABRIELE (ITALIA DEI VALORI) 
DI GIUSEPPE ANITA (ITALIA DEI VALORI) 
DI STANISLAO AUGUSTO (ITALIA DEI VALORI) 
FAVIA DAVID (ITALIA DEI VALORI) 
FORMISANO ANIELLO (ITALIA DEI VALORI) 
MESSINA IGNAZIO (ITALIA DEI VALORI) 
MONAI CARLO (ITALIA DEI VALORI) 
MURA SILVANA (ITALIA DEI VALORI) 
ORLANDO LEOLUCA (ITALIA DEI VALORI) 
PALADINI GIOVANNI (ITALIA DEI VALORI) 
PALAGIANO ANTONIO (ITALIA DEI VALORI) 
PALOMBA FEDERICO (ITALIA DEI VALORI) 
PIFFARI SERGIO MICHELE (ITALIA DEI VALORI) 
PORCINO GAETANO (ITALIA DEI VALORI) 
ROTA IVAN (ITALIA DEI VALORI) 
SCILIPOTI DOMENICO (ITALIA DEI VALORI) 
ZAZZERA PIERFELICE (ITALIA DEI VALORI) 
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DI PIETRO ANTONIO (ITALIA DEI VALORI) 

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