INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/33069 presentata da VENDOLA NICOLA (MISTO) in data 20001213

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_33069_13 an entity of type: aic

Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Premesso che: nel processo in corso presso la Corte di Assise di Messina per l'omicidio di Graziella Campagna sono emersi gravissimi episodi di depistaggio ed altre anomalie poste in essere da magistrati; la sera del 12 dicembre 1985, nel paese di Villafranca Tirrena (Messina), scompariva Graziella Campagna. Il suo cadavere veniva ritrovato due giorni dopo sui monti Peloritani, al confine fra il comune di Messina e quello di Villafranca Tirrena. Graziella sarebbe scomparsa sulla via Nazionale di Villafranca Tirrena, nei pressi della lavanderia La Regina, ove la stessa prestava servizio; all'epoca dell'omicidio, la lavanderia La Regina era da tempo quotidianamente frequentata da due palermitani, presentatisi come l'ingegner Toni Cannata ed il geometra Gianni Lombardo, quest'ultimo collaboratore del primo. In realta' si trattava di due pericolosissimi ricercati per associazione mafiosa, traffico internazionale di droga ed altro: Gerlando Alberti jr. (nipote omonimo di Gerlando Alberti sr., detto "'u paccare'") e Giovanni Sutera. I due si nascondevano nella zona di Villafranca da circa tre anni ed avevano instaurato buoni rapporti con i titolari della lavanderia, i coniugi Franco Romano e Franca Federico, e con le collaboratrici, Agata Cannistra' e Graziella Campagna. Inoltre, nello stesso paese erano assidui frequentatori del salone da barba di Giuseppe Federico, fratello di Franca, e del negozio di alimentari di Francesco Catrimi; Alberti si era trasferito nella zona di Messina dal 1982-1983, dopo essere sfuggito agli attentati in suo danno eseguiti dal gruppo mafioso corleonese e dagli alleati di quella frangia di Cosa Nostra. Arrivato in riva allo Stretto, aveva dimorato fino al 1984 ad Acqualadroni, utilizzando le abitazioni messe a sua disposizione da tale Palamara Rosaria, e dal 1984 in poi nella zona di Villafranca Tirrena; nel messinese, Alberti, cosi' come numerosi altri esponenti di Cosa Nostra palermitana (di entrambi gli schieramenti, Corleonesi e Palermo Centro), godeva della protezione di don Santo Sfameni, imprenditore di Villafranca Tirrena. In realta', Sfameni, oltre ad occuparsi di edilizia, e' un grosso esponente massonico collegato sia ad importantissimi personaggi istituzionali che ai piu' potenti esponenti mafiosi siciliani. Giudici come Marcello Mondello, Domenico Cucchiara, Giuseppe Recupero, Beppe Recupero, Giovanni Serraino ed altri, professori universitari come Salvatore Navarra (fratello del famigerato Michele, padrino di Corleone negli anni '50) e Matteo Vitetta, secondo le rivelazioni di innumerevoli collaboranti (e secondo le parziali ammissioni di alcuni degli stessi interessati), sarebbero stati vicini al patriarca di Villafranca Tirrena. Alcuni di questi rappresentanti istituzionali, addirittura, in compagnia dei piu' temuti pregiudicati mafiosi messinesi e di altre provincie, avrebbero partecipato a scampagnate mangerecce in una masseria di don Santo sita a Saponara Marittima. Proprio il luogo nel quale sarebbero stati decisi, fra gli altri, l'attentato ai danni del professore universitario Pernice, avvenuto il 6 settembre 1990 ed elaborate le strategie dei gruppi criminali; Gerlando Alberti jr., dietro la falsa identita' dell'insospettabile ingegner Toni Cannata, dal maggio del 1985, insieme all'amico Sutera, spacciato come proprio parente, aveva preso in affitto una villetta nel vicino paese di Rometta Marea, in via Vini n. 103, di proprieta', inizialmente, di tale Siragusa Salvatore. In realta', il contratto di affitto era stato stipulato a nome di Mancuso Rosa Emilia, moglie dell'Alberti; a quasi un mese di distanza dall'omicidio di Graziella, si scopriva che qualche giorno prima dell'8 dicembre 1985 l'ingegner Cannata aveva lasciato della biancheria alla lavanderia ove lavorava la giovane. Sbadatamente, in uno degli indumenti consegnati, lasciava un porta-documenti contenente un'agendina con degli appunti personali. Avvedutosi di cio' mentre si trovava nel negozio del barbiere Federico, mostrando evidenti segni di nervosismo, mandava il suo amico a ritirare il tutto. Sutera, pero', tornava a mani vuote, cosicche' l'ingegner Cannata si recava di persona alla ricerca dei preziosi documenti. Veniva ritrovata soltanto la custodia del porta-documenti, al cui interno c'era solo un'immaginetta sacra con l'effigie del Papa. A questo punto, il latitante andava su tutte le furie, gettando nel cestino gli oggetti rinvenuti. Dal timore che questi appunti fossero stati ritrovati, all'interno della lavanderia, da Graziella Campagna e che la ragazza ne potesse parlare con il fratello Piero, carabiniere, sarebbe nata la necessita' dell'uccisione della diciassettenne. Graziella, dopo essere stata prelevata e condotta a Forte Campone, sarebbe stata interrogata in ordine al ritrovamento degli appunti smarriti dall'ingegner Cannata e solo dopo cio' uccisa; la sera della scomparsa di Graziella, inspiegabilmente la proprietaria della lavanderia aveva consegnato alla ragazza 70.000 lire, pur non essendo giorno di paga. Quella somma, peraltro, non rappresentava neanche lo stipendio, dell'importo di 150.000 lire, che veniva pagato in nero a fine mese. Piu' esattamente, innanzi al G.I. il 6 giugno 1989, la donna spiegava di aver messo i soldi, come detto consegnati senza alcuna ragione, direttamente nella borsa di Graziella, tanto da elencare al giudice gli oggetti ivi contenuti; altra anomalia era capitata nel pomeriggio del 12 dicembre, ovvero meno di due ore prima del sequestro di Graziella. La proprietaria della lavanderia, Franca Federico, e Agata Cannistra', verso le ore 18, si erano recate in auto in compagnia di un conoscente a prendere un caffe' al bar dell'Hotel Viola, sito sempre in Villafranca, e cio' nonostante accanto alla lavanderia si trovasse un bar, dove le stesse donne avevano l'abitudine di prendere il caffe', peraltro solo di mattina e mai nel pomeriggio. L'Hotel Viola, sito nel comune di Villafranca Tirrena, e' di proprieta' di tale Romualdo Viola. Cio' non sembrerebbe essere di scarso rilievo, ai fini della ricostruzione del sequestro e dell'assassinio di Graziella Campagna. Ha riferito, infatti, il collaboratore di giustizia Santi Timpani che, subito dopo la fuga dal posto di blocco, Alberti ed il suo amico si erano recati dal loro protettore, Santo Sfameni, il quale li aveva indirizzati proprio presso Romualdo Viola, dal quale i due latitanti palermitani avrebbero trovato rifugio. Il collegamento fra Viola e Sfameni in vicende illecite e' ulteriormente riferito dal Timpani nel medesimo verbale d'interrogatorio, laddove spiega i passaggi di un processo addomesticato a favore dello stesso Timpani. Si tratta del processo per l'omicidio Sgro', celebrato nel 1992 innanzi al Tribunale per i minorenni di Messina. In quell'occasione il Timpani, nei confronti del quale sussistevano abbondanti prove di colpevolezza, fu scagionato dalla falsa testimonianza proprio di Romualdo Viola, il quale gli forni' un falso alibi insuperabile. Secondo quanto narrato dal Timpani, la testimonianza del Viola era stata procurata da Santo Sfameni e da Luigi Sparacio, ed era stata ammessa dopo gli accordi raggiunti in tal senso fra il padre di Timpani, Santo Sfameni, il dottor Recupero ed il dottor Domenico Lazzaro. Il Lazzaro presiedeva il collegio che avrebbe giudicato, e poi assolto, il Timpani (che in appello sara' condannato a seguito della sua confessione) ed e' ancora il Presidente del Tribunale per i minorenni; risulta all'interrogante che fino al 7 gennaio 1986 non vi fu traccia alcuna, negli atti di indagine, dell'ingegner Cannata e del fido aiutante Gianni; a dire il vero, gia' l'avvio delle indagini era stato caratterizzato da alcune stranezze. Era, infatti, avvenuto che a giungere per primi a Forte Campone e ad eseguire il riconoscimento del cadavere ed i primi adempimenti del caso fossero stati i poliziotti della Squadra mobile. Sennonche', contrariamente alla prassi istituzionale costante in casi del genere, la conduzione delle indagini era stata delegata, dalla magistratura, in prima battuta ai Carabinieri; Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, con provvedimento emesso il 1o marzo 1988 dal G.I. del tribunale di Messina, venivano rinviati a giudizio innanzi alla Corte di assise di Messina. Tuttavia, la Corte, presieduta dal dottor Cucchiara, con provvedimento del 10 marzo 1989, dichiarava, su conforme richiesta del P.M., alla quale si associavano anche i difensori delle parti civili e degli imputati, la nullita' degli atti dell'istruzione formale, "ivi compresa l'ordinanza di rinvio a giudizio", e disponeva la restituzione degli atti al P.M.; ripartito il procedimento, veniva acquisita la deposizione della madre della vittima, Curreri Santa, che riferiva al G.I. una circostanza fondamentale: la sera del 9 dicembre 1985, tre giorni prima della scomparsa, Graziella aveva detto alla madre, senza preoccupazioni: "mamma, sai, l'ingegnere Cannata non e' quello, e' un'altra persona. Ho trovato un foglio di carta e mentre lo tenevo in mano Agata me lo ha strappato". Nonostante tale ultima risultanza, il P.M. richiedeva il proscioglimento dei due imputati, sostenendo l'inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla madre di Graziella e privilegiando, invece, la credibilita' di Franca Federico e Agata Cannistra', seppure denunciate per favoreggiamento dalla Squadra mobile, per le loro menzogne. Arrivava, cosi', il proscioglimento di Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, disposto con la sentenza emessa il 28 marzo 1990 dal G.I. dottor Marcello Mondello, vistata per l'approvazione e la mancata impugnazione dal sostituto procuratore generale dottor Rocco Sisci il 18 aprile 1990. Solo molti anni dopo il dottor Mondello ammettera' innanzi ai PP.MM. di Catania di aver anticipato l'esito favorevole del processo, prima dell'emissione del provvedimento, al boss Santo Sfameni, che gliene aveva chiesto conto. Proprio lo Sfameni aveva protetto, dall'alto dei suoi agganci istituzionali, la latitanza dei due mafiosi palermitani nella zona messinese. È solo l'ultima conferma a cio' che gia' molti collaboratori di giustizia avevano rivelato, parlando di processo aggiustato. Da ultimo, sulla vicenda si soffermera' il collaboratore di giustizia Santi Timpani, che riferira' al P.M. che, per assicurarsi il buon esito del procedimento a carico di Alberti e Sutera, Sfameni aveva pagato ai magistrati che se ne occupavano la somma di 500 milioni di lire; per lunghi anni, dopo la sentenza di proscioglimento emessa dal dottor Mondello, sul feroce assassinio di Graziella Campagna calava l'oblio; il 24 settembre 1996, oltre 6 anni dopo il proscioglimento dei due imputati, sulla scorta delle dichiarazioni rese da 9 collaboratori di giustizia (Ferrara Carmelo, Surace Salvatore, Mancuso Giorgio, Rizzo Rosario, Di Napoli Pietro, Sparacio Luigi, Giorgianni Salvatore, Cariolo Antonio, Arnone Marcello), i quali avevano indicato Alberti e Sutera quali esecutori materiali del delitto, specificando il contesto mafioso in cui era stato deciso l'assassinio di Graziella, la Procura di Messina richiedeva la revoca della sentenza di proscioglimento e la riapertura delle indagini preliminari. Il Gip accoglieva la richiesta con provvedimento emesso il 5 dicembre 1996, concedendo 6 mesi per il completamento delle indagini; il processo, in verita', avrebbe potuto ricominciare con due anni di anticipo. Infatti, il 14 marzo 1994, il pentito messinese Salvatore Giorgianni aveva riferito al P.M. di Reggio Calabria Francesco Mollace (nell'ambito delle indagini sul ferimento del professor Pernice, nelle quali erano coinvolti Santo Sfameni ed il dottor Giuseppe Recupero) sia le responsabilita' di Alberti nell'omicidio Campagna sia l'intervento di Sfameni per addomesticare l'esito dell'originario processo definitosi con il proscioglimento degli imputati. Inspiegabilmente, pero', secondo l'interrogante, il dottor Mollace ometteva alcuna iniziativa, non iscrivendo le notitiae criminis sul registro della Procura di Reggio Calabria ed omettendo perfino di trasmettere gli atti alla Procura di Messina; venivano espletati nuovi accertamenti dal R.O.S. dei Carabinieri di Messina, che culminavano nella redazione dell'informativa "Erode" del 5 giugno 1997, nella quale venivano raccolti i numerosi riscontri trovati alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Con l'informativa di reato, venivano denunciati Alberti e Sutera quali responsabili dell'uccisione della Campagna, Franca Federico, Franco Romano, Giuseppe Federico ed Agata Cannistra' per favoreggiamento, Santo Sfameni per associazione mafiosa; nel maggio 1997 iniziava a collaborare con la giustizia il palermitano La Piana Vincenzo, cognato di Gerlando Alberto jr. per averne sposato la sorella Maria; La Piana aveva mantenuto stretti contatti con il cognato fino a poco prima di iniziare a collaborare con la giustizia. Tanto che assistette a ripetute discussioni avvenute fra Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera con riferimento all'omicidio di Graziella Campagna, che gli stessi ammettevano di avere materialmente eseguito. Quando, poi, nel 1996, si erano riaperte le indagini, il La Piana aveva fatto da tramite fra il cognato ed il Sutera per riferire a quest'ultimo una versione dei fatti, eventualmente da riferire agli investigatori, appositamente inventata al fine di non vanificare i risultati che l'Alberti aveva ottenuto grazie ad un non meglio precisato P.M. compiacente; nonostante la mole immensa di risultanze investigative sul ruolo avuto da Sfameni Santo nella protezione (almeno) della lunghissima latitanza di Alberti e Sutera e nel raccordo fra alti rappresentanti delle istituzioni (tra i quali proprio il giudice che aveva prosciolto gli imputati dell'uccisione della povera Graziella) e pericolosissimi mafiosi, il P.M. dottor Marino disponeva lo stralcio della posizione di Sfameni dal procedimento principale, con la motivazione che i reati di cui era indiziato (fra gli altri, associazione mafiosa) lo Sfameni fossero "non connessi con l'omicidio di Graziella Campagna". La conseguenza di tale decisione, a parere dell'interrogante, fu quella di ostacolare, almeno parzialmente, nel corso del dibattimento, l'approfondimento sul contesto mafioso, sugli agganci fra Sfameni, Alberti e rappresentanti delle istituzioni e sulla causale dell'omicidio; cosi' come risulta all'interrogante, il 23 dicembre 1997 il P.M. Marino formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 6 imputati: Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera per il reato di omicidio, Franca Federico, Franco Romano, Giuseppe Federico e Agata Cannistra' per favoreggiamento, richiesta accolta dal Gip Salamone, che disponeva il rinvio a giudizio degli imputati innanzi alla Corte di assise, prima sezione, per l'udienza del 10 dicembre 1998; prima dell'inizio del dibattimento ed ormai in procinto di lasciare la procura ed essere trasferito al tribunale di sorveglianza di Messina, il P.M. dottor Marino, a parere dell'interrogante, pose l'ultimo ostacolo all'accertamento della verita': nel compilare la lista testimoniale omise i poliziotti della Squadra mobile che avevano svolte le indagini piu' accurate; di contro chiedeva la testimonianza proprio di quei carabinieri che avevano contribuito all'insabbiamento, maresciallo Giardina in testa; iniziato il dibattimento, anche grazie alle rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia, emergeva uno spaccato inquietante fatto di commistioni fra pezzi dello Stato e mafiosi in carriera. Per la prima volta si riusciva a far venir fuori che il "patriarca" di Villafranca Tirrena, Santo Sfameni e' un importante uomo d'onore di Cosa Nostra, "burattinaio" manovratore di giudici e processi, che dall'alto della sua influenza massonica riusciva a far sedere insieme magistrati, avvocati e latitanti; con l'esame testimoniale di Piero Campagna, il 22 dicembre 1999, venivano fuori le circostanze piu' sconcertanti. Riferiva il Campagna che, pochi giorni dopo l'omicidio era stato raggiunto a casa da poliziotti della Squadra mobile, con i quali era salito in automobile per riferire loro tutti i sospetti che aveva sull'assassinio della sorella. L'auto della Polizia veniva bloccata da una pattuglia dei carabinieri. Ne nasceva una colluttazione fra poliziotti e carabinieri. Finiva che gli agenti della Mobile, stizziti per l'accaduto e per le incredibili accuse di imprecisate ingerenze investigative, andavano via. Il Campagna veniva convocato in caserma dal maresciallo Giardina, dal quale veniva redarguito per avere fornito notizie alla Polizia e invitato a recarsi al Comando provinciale dei Carabinieri, nell'ufficio dell'allora maggiore Antonio Fortunato, comandante del reparto operativo, che aveva manifestato il suo disappunto per l'accaduto. Ricevuto dal Fortunato, Campagna veniva nuovamente investito da una reprimenda per avere collaborato con i poliziotti e gli veniva intimato di fornire ogni dettaglio utile per le indagini esclusivamente allo stesso maggiore Fortunato o al maresciallo Giardina; nella stanza del Fortunato, da questi veniva presentata a Piero Campagna un'altra persona, indicata dal Fortunato come proprio collega, a nome Giuseppe Donia, il quale assistette all'incontro e partecipo' alla discussione, anche intervenendo per tranquillizzare il fratello della vittima sullo scrupolo che sarebbe stato impiegato nelle indagini. Si tratta della stessa persona che Campagna, nuovamente recatosi al Comando provinciale, qualche giorno dopo incontro' nel cortile della caserma e che gli confido' di essersi personalmente occupato della perizia balistica espletata sui proiettili utilizzati per uccidere Graziella; Piero Campagna a distanza di qualche anno incontro' il Donia a Falcone, il paese nel quale dal 1989 Gerlando Alberti e la sua famiglia vivevano. In tale occasione apprese dai carabinieri di Falcone che il Donia non era in realta' un ufficiale dei carabinieri, ma che si spacciava falsamente come tale, e che, soprattutto, era un soggetto strettamente legato a Gerlando Alberti jr.; sul punto veniva sentito dal P.M., fra gli altri, anche il maresciallo Giardina, il quale aggiungeva un'altra circostanza inquietante, peraltro gia' riferita innanzi alla Corte d'assise di Messina il 3 dicembre 1999: la sera del rinvenimento del cadavere, alla caserma di Villafranca Tirrena era presente anche il magistrato dottor Giovanni Lembo, che coordino' informalmente i primi adempimenti istruttori. Incomprensibilmente, pero', perche' a quel tempo il Lembo, come accertato dall'interrogante, faceva il pretore a Patti e quindi non aveva alcuna competenza ed alcuna ragione per trovarsi coinvolto nelle indagini, che in realta' venivano formalmente assegnate al dottor Serraino. Nel corso del suo esame dibattimentale il maresciallo Puglisi riferiva che durante l'interrogatorio dei quattro imputati di favoreggiamento, nell'ottobre 1998, il dottor Lembo (che non aveva alcun ruolo nel procedimento) era intervenuto nella stanza del P.M. dottor Marino, senza che questi ne facesse menzione a verbale; a dire il vero, pero', cio' che appare piu' destabilizzante, all'interrogante, e' il tenore dei rapporti intrecciati dal Donia prima dell'omicidio Campagna con alcuni rappresentanti istituzionali che dell'omicidio ebbero ad occuparsi nell'esercizio delle loro funzioni, nel modo non troppo accurato che gia' sopra si e' visto. Il Donia, infatti, pur non essendo colonnello, appare tale e, pur non essendo perito balistico, svolge in segreto delicate perizie. Solo che questa sua passione per le armi e' condivisa con soggetti di tutto spessore. Il 13 dicembre 1982, ad esempio, Donia segnalava formalmente alla stazione dei Carabinieri di Fondachello Valdina (Messina), diretta dal maresciallo Numa, di avere ceduto a titolo gratuito una pistola Beretta semiautomatica calibro 7,65 al dottor Rocco Sisci, nato ad Amendolara (Cosenza) il 6 ottobre 1936, in quel momento (ed anche nel dicembre 1985) sostituto procuratore della Repubblica a Messina. Si', lo stesso dottor Sisci che, si e' visto, diventato sostituto procuratore generale, nel 1990 mise il suo sigillo alla sentenza di proscioglimento di Alberti e Sutera, emessa dal dottor Mondello. Lo stesso dottor Sisci che oggi dirige la Procura della Repubblica di Barcellona P.G.. Il 1o luglio 1983 Donia segnalava formalmente alla stessa stazione dei Carabinieri di avere ricevuto in regalo dal capitano Acampora Fernando, proprio colui che dirigera', quale comandante del nucleo operativo della compagnia Messina centro, le indagini sull'assassinio, tante armi da sembrare un arsenale; Giuseppe Donia a Scala Torregrotta, per tutto il corso degli anni '80 non aveva evitato contatti malsani con soggetti noti alle cronache giudiziarie. Fra gli altri, aveva stretto rapporti con il giovane Santi Timpani, compagno di scuola, in passato, del figlio di Donia. Lo stesso Santi Timpani, pluriomicida, che, divenuto collaboratore di giustizia, il 16 dicembre 1994 dichiarera' al P.M. dottor Lembo (lo stesso che Giardina segnalo' presente alla stazione di Villafranca la sera del 14 dicembre 1985), nel frattempo divenuto sostituto procuratore nazionale antimafia, di avere illecitamente ottenuto da Giuseppe Donia delle pistole, e di essersi allenato al tiro insieme al Donia numerose volte, in una campagna di proprieta' dello stesso. Tale verbale, come accertato dall'interrogante, non ebbe seguito giudiziario, come altri verbali resi dal Timpani, ad esempio, quelli contenenti accuse a carico di sottufficiali dei Carabinieri della zona tirrenica messinese, fra i quali il maresciallo Numa; in definitiva si hanno: due imputati di omicidio, Gerlando Alberti e Giovanni Sutera, latitanti in Villafranca Tirrena protetti da Santo Sfameni; quattro imputati di favoreggiamento, in intimi rapporti con gli stessi latitanti e legati da rapporti di parentela con l'allora sindaco La Rosa, buon amico ed accompagnatore del latitante Alberti, in stretto collegamento con il boss Sfameni; un intoccabile "puparo", Sfameni, amico di giudici, manovratore di processi aggiustati; qualche magistrato (Mondello, decisivo per il proscioglimento degli imputati) legato da relazioni pericolose con il "puparo", qualcun altro (Sisci e Lembo) legato da relazioni ancor piu' pericolose con strani ed inquietanti personaggi; un falso colonnello (Donia) che compie perizie non verbalizzate, che collabora, fuori ruolo, alle indagini, che e' amico del principale imputato, che regala armi a magistrati e criminali e ne riceve da parte di ufficiali dei carabinieri, che viene accusato (unitamente a molti sottufficiali dei carabinieri) da collaboratori di giustizia e mai perseguito (dal dottor Lembo) -: se siano mai stati avviati accertamenti dai Ministri interrogati sui gravi fatti raccontati e quali siano le relative risultanze; se siano state rilevate responsabilita' in capo ai magistrati menzionati e quali siano ed a carico di chi i procedimenti disciplinari avviati su tali vicende, con specifico riferimento al dottor Francesco Mollace, al dottor Carmelo Marino, al dottor Giovanni Lembo, al dottor Domenico Lazzaro ed al dottor Rocco Sisci; quali accertamenti siano stati fatti sul Donia e sui suoi rapporti di collaborazione con uffici giudiziari; se non ritengano, in ogni caso, che le suddette vicende meritino l'avvio di immediati provvedimenti, come richiede il sangue innocente di una martire della mafia: Graziella Campagna. 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