INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/21888 presentata da PARLATO ANTONIO (MOVIMENTO SOCIALE ITALIANO - DESTRA NAZIONALE) in data 19940202

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Al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Ministri del tesoro e dell'industria, commercio ed artigianato ed incaricato per le funzioni connesse al riordinamento delle partecipazioni statali. - Per conoscere - premesso che: i positivi risultati della vendita delle azioni del Credito Italiano, poste in vendita a lire 2.075 ciascuna, sono stati commentati entusiasticamente da una stampa economica asservita, subalterna e del tutto acritica, mentre ad ogni osservatore appena appena piu' attento l'innegabile successo della vendita e' apparso conseguenza di una rilevante sottovalutazione del titolo, solo grazie alla quale si e' ottenuto che tanti risparmiatori, stante l'evidente affare (per loro, non per lo Stato), accorressero a sottoscrivere l'acquisto; a sostegno di tale tesi valgono le osservazioni ed i commenti piu' obiettivi: a) la vignetta satirica apparsa su Il Mondo del 13/20 dicembre scorso dove Romano Prodi appare dietro un banchetto come quelli dei mercati ambulanti e sul quale appaiono le cifre progressivamente cancellate, meno l'ultima "3.000", "2.500", "2.300", "2.100", "2.075", mentre si affolla intorno a Prodi una torma di compratori; b) la lettera aperta a Prodi che il Sole 24 Ore ha pubblicato con ampio risalto il 2 dicembre 1993, di un imprenditore, Sante Castelletti, il quale scriveva - tra l'altro - "il Credito Italiano ha un patrimonio netto di circa 5.000 miliardi, dispone di oltre 800 sportelli in Italia e di una importante rete internazionale, e' brillantemente guidato da un presidente del calibro del professor Natalino Irti e da amministratori di valore quali Egidio Giuseppe Bruno e Pier Carlo Marengo, ha un management ed un corpo impiegatizio altamente professionali. Inoltre il Credito Italiano vanta una proprieta' immobiliare vasta e prestigiosa ed i suoi crediti in sofferenza sono della meta' rispetto alla media del sistema creditizio italiano. A fronte di questa realta' solida e ricca sentiamo circolare con insistenza e leggiamo sui giornali voci secondo le quali l'IRI si accontenterebbe di collocare le azioni a 2.000/2.300 lire, ottenendo dalla privatizzazione 2.000 miliardi per la sua quota di circa il 67 per cento dell'intero capitale: quando il solo patrimonio netto contabile si aggira intorno ai 5.000 miliardi ed il suo valore complessivo e' certamente del doppio e probabilmente ancora di piu'. Se fosse vero quanto ripetutamente viene affermato, si tratterebbe non solo di svendere un autentico gioiello dell'economia nazionale ma anche di una operazione che penalizzerebbe a causa del deprezzamento delle quotazioni di Borsa, i piccoli risparmiatori gia' in possesso delle azioni Credit, costringendoli a subire scelte fatte sulle loro teste ed a loro danno"; c) la nota a firma di Massimo Mucchetti, con la consulenza tecnica di Miraquota, apparsa su l'Espresso del 12 dicembre e secondo cui, tra l'altro: "il Credito puo' esibire fondi rischi (1.373 miliardi al 30 giugno) che gli amministratori ritengono sufficienti in relazione alle insolvenze prevedibili. Nei giorni precedenti l'offerta al pubblico, le quotazioni del Credito oscillavano tra le 2.300 e le 2.500 lire. Talche' il valore di mercato dell'istituto stava attorno ai 3.600 miliardi. La Borsa cioe' riconosceva uno sconto del 20 per cento sul patrimonio netto contabile consolidato (4.598 miliardi) quando nel caso di altre operazioni emergeva ben altra generosita'. Il gruppo Deutsche Bank per la Popolare di Lecco e la Popolare di Verona per il Banco di San Geminiano hanno fatto offerte che consideravano non solo il patrimonio netto ma anche un congruo avviamento sui depositi. Ebbene, applicando anche con grande prudenza quegli stessi criteri, si dovrebbe dire che il Credito Italiano vale almeno 8 o 9 mila miliardi. E' dunque un regalo quello che l'IRI sta facendo al mercato? Dal punto di vista patrimoniale e' cosi'"; d) ancora su l'Espresso nel numero del 26 dicembre 1993, ancora Massimo Mucchetti scriveva: "La domanda di azioni del Credito Italiano e' risultata cinque volte superiore all'offerta anche perche' questa e' sembrata molto conveniente. L'IRI ha venduto questa sua banca con uno sconto del 9,6 per cento rispetto all'ultima chiusura di Borsa, gia' spinta al ribasso dalla speculazione. Un bonus che appare ben maggiore se si pensa al valore patrimoniale contabile dell'azione, e che risulta quasi incommensurabile rispetto ai prezzi mirabolanti che le banche pagano quando vogliono annettersi altre banche"; e) secondo l'ADUSBEF nella valutazione del Credito Italiano non risultavano compresi ne' il valore di avviamento ne' quello patrimoniale, ne' seguiti i criteri comunemente adottati per una seria valutazione: valore doppio del patrimonio netto piu' il 13 per cento della raccolta diretta e l'1 per cento di quella diretta; cosi' svendendo le azioni lo Stato ha perduto tra i tre ed i seimila miliardi circa e per evitare tale svendita il prezzo delle azioni avrebbe (pur scontato come d'uso in questi casi) dovuto non scendere al di sotto delle 2.600 lire -: quali precise valutazioni dia il Governo in ordine a quanto precede; se la Corte dei Conti da parte sua, reimmessa nel diritto-dovere del controllo abbia aperto le necessarie procedure di controllo sulla svendita in questione e sul danno arrecato per alcune migliaia di miliardi allo Stato, e le abbia concluse e se, a tal proposito, abbia individuato responsabilita' e quali e promosso, in tal caso, azioni di responsabilita' per il danno all'erario. (4-21888)
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