INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/16795 presentata da FOTI TOMMASO (ALLEANZA NAZIONALE) in data 19980415

http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_16795_13 an entity of type: aic

Al Ministro di grazia e giustizia. - Per sapere - premesso che: Rivetti Aldo (nato a Chiari - Brescia, il 14 luglio 1956, coniugato con due figli, dimorante con la famiglia a Sant'Anna di Rovato - Brescia, in un immobile di proprieta' di uno zio, socio di minoranza della IPB ponteggi Srl con sede in Brescia Via Aldo Moro 4, impresa edile presso la quale svolgeva funzioni amministrative, occupandosi altresi' della gestione cantieri), viene arrestato il 15 settembre 1997 su ordine della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, con l'accusa di avere finanziato, promosso, diretto ed organizzato (unitamente ad altre persone, colte in flagranza di reato, ed arrestate nel corso del 1996) una potentissima banda di narcotrafficanti, operante su scala internazionale; al Rivetti come si evince dall'ordinanza di custodia cautelare viene contestato di: 1) essere proprietario dei locali posti in Cazzago San Martino (Brescia) utilizzati quali "basi" dei traffici illeciti, e di avere assicurato la piena disponibilita' degli stessi. In realta', come risulta dal contratto depositato agli atti fin dal dicembre 1997, il Rivetti non risulta proprietario dei locali in questione, per il cui utilizzo la IPB versava mensilmente il pattuito canone alla G.FA.BR.EM. snc di Taveri Bruna; 2) essere in rapporti di amicizia con personaggi coinvolti nello spaccio di droga (tali: Ecca, Scarsetti, Selis e Danesi). E' qui il caso di evidenziare che il detto Ecca era dipendente della societa', in stato di sorveglianza da parte degli assistenti sociali che ne avevano caldeggiato l'assunzione; addirittura settimanalmente il servizio in questione assumeva notizie in ordine all'effettiva partecipazione al lavoro dell'Ecca, e chiedeva che venisse comunicato ogni suo movimento. Il Danesi collaborava saltuariamente con il Rivetti, piu' che altro per fargli da autista (stante l'impossibilita' del Rivetti, per le ragioni di salute che qui di seguito si evidenzieranno, di guidare); Scarsetti era responsabile di altra societa' di costruzioni, che teneva rapporti di lavoro con la predetta IPB, mentre il Selis era un collaboratore dello Scarsetti; 3) tenere un alto tenore di vita, contrastante con lo stato sociale tipico di chi e' reduce da un pesante fallimento. Al di la' del fatto che del contestato "alto tenore di vita" del Rivetti, nessun riscontro oggettivo risulta agli atti, non ci si puo' esimere dal rilevare come il menzionato fallimento riguardasse una societa' (di tipo familiare) di cui il Rivetti era uno dei titolari: la posizione del Rivetti risulta definita - pero' - nel 1990, tant'e' che, nel 1996, ha ottenuto la riabilitazione. Quanto poi all'accusa di possedere un'auto di grossa cilindrata e molto costosa (Mercedes 5000) e al fatto che la IPB risultasse intestataria di un'autovettura Alfa 145, si osserva che, come documentalmente provato, la Mercedes 5000 appartiene alla suocera del Rivetti e risulta immatricolata nel 1982 (!!!), mentre l'Alfa 145, di proprieta' della societa' "Il leasing di Bergamo", ben presto torno' nella disponibilita' della stessa non avendo la IPB adempiuto al regolare pagamento delle rate, secondo quanto previsto dal contratto di leasing stipulato. Il fatto, poi, che il Rivetti si avvalesse, per i suoi trasferimenti in autovettura, di un autista era conseguenza delle precarie condizioni di salute dello stesso; 4) avere frequenti contatti con cittadini slavi ed albanesi, assunti anche illegalmente, ed apparentemente dediti a traffici illeciti. Su questo punto e' da notare che la societa' IPB aveva alle proprie dipendenze alcuni cittadini slavi ed albanesi, ma che gli stessi risultano regolarmente assunti, cosi' come attestato dai modelli 101 di alcuni dipendenti, depositati agli atti; la trascrizione delle intercettazioni ambientali risulta il piu' delle volte confusa ed incomprensibile; al Rivetti risultano contestati, in piu' occasioni, atti privi di riscontro oggettivo alcuno; il Rivetti e' invalido al 75 per cento (in continua evoluzione peggiorativa) a causa di un incidente risalente al 1988, a seguito del quale subi' la frattura dei femori, operati con placche e viti. Nel 1995 il medico curante prescriveva al Rivetti l'assistenza continuativa, non essendo piu' in grado di compiere da se' gli atti quotidiani della vita; la sottoposizione al regime carcerario impedisce al Rivetti di vestirsi, lavarsi, avere cura delle unghie; la dottoressa Birbes, incaricata dal tribunale di accertare le condizioni del Rivetti, pur sostenendo che lo stato di salute del predetto detenuto non risulta incompatibile con il regime carcerario, ha confermato il quadro clinico decisamente preoccupante del Rivetti (e' concreto il rischio di una rapida usura delle strutture articolari ed ossee dell'anca e del femore e la mobilizzazione della protesi) tant'e' che richiedeva un periodo di ricovero ospedaliero del detenuto (cio' al fine di poter definire un'adeguata terapia medica ed un appropriato regime dietetico ipocalorico); il Gip di Brescia, pur rigettando l'istanza di revoca o di attenuazione della misura cautelare, ordinava il 23 febbraio 1998 al medico in servizio presso il carcere di Brescia di adottare i provvedimenti di competenza per il ricovero in ospedale del Rivetti; ad oggi il Rivetti attende ancora quel provvedimento e, se mai sia stato assunto, la sua esecuzione; risulta, invece, che sia stato ordinato ad altro detenuto di accudire volontariamente il Rivetti; a seguito di istanza inoltrata (anno 1995) ai competenti uffici per ottenere la pensione d'invalidita', nei primi giorni di novembre del 1997 la prefettura di Brescia trasmetteva al Rivetti richiesta di attestazione di gravita' della malattia, precisando che la stessa doveva essere restituita, entro 60 giorni dal ricevimento, previa sottoscrizione da parte dell'ufficiale sanitario. Pur avendo la moglie del Rivetti immediatamente investito dell'incombenza l'ufficiale sanitario del carcere di Brescia, questi non risulta avere ancora restituito il documento, ne' avere comunicato i motivi dell'eventuale rigetto: ne segue che l'istanza in questione potrebbe decadere, proprio in ragione della omessa presentazione del certificato richiesto; pare evidente, sia con riferimento allo stato di detenzione del Rivetti, sia per quanto riguarda il profilo penalmente rilevante, che si e' di fronte ad un ingiustificato accanimento nei confronti di una persona incensurata, la qual cosa non sorprende piu' di tanto sol che si pensi che si tratta degli stessi uffici che dopo avere trattenuto in carcere per mesi Massimo Foglia (caso: "gli amanti di Capriolo") hanno visto completamente stravolto e sconfessato il lavoro investigativo sviluppato, come si evince dalla lettura della sentenza di primo grado recentemente emessa -: quali urgenti disposizioni intenda impartire affinche' il Rivetti sia trasferito, con l'urgenza che il caso conclama, presso una struttura ospedaliera in grado di verificare l'effettivo stato di salute del detenuto; se intenda accertare, attraverso apposita ispezione, se le accuse rivolte a Rivetti Aldo non siano frutto di un ingiustificato accanimento nei suoi confronti da parte di investigatori che, contro ogni logica, lo ritengono depositario di chissa' quali segreti. Del resto tutti i punti oggetto d'indizio risultano clamorosamente smentiti e ciononostante ci si ostina a tenere il Rivetti in carcere sul solo presupposto della possibile reiterazione del reato (che, in astratto, chiunque potrebbe ricommettere), o del pericolo di fuga (quando il Rivetti, come evidenziato, venne arrestato con un anno di ritardo rispetto ai suoi presunti complici, dal che si evince che, se avesse voluto e se avesse avuto reali timori in ordine alla condotta precedentemente tenuta, si sarebbe immediatamente reso irreperibile). (4-16795)
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