INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/15207 presentata da BELTRANDI MARCO (PARTITO DEMOCRATICO) in data 20120306
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Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-15207 presentata da MARCO BELTRANDI martedi' 6 marzo 2012, seduta n.598 BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che: nell'autunno del 1957 il corpo di una ragazza di diciassette anni veniva adagiato su un tavolo anatomico, nella penombra di una stanza dell'istituto di medicina legale dell'universita' di Palermo. La giovane, in fin di vita, era stata trasportata dal suo piccolo paese nell'interno siciliano in un disperato tentativo di salvarla, ma era morta lungo la strada provinciale. Intorno al suo corpo, ormai cadavere, i medici cercavano di svelare il segreto di quella morte improvvisa. Unici indizi visibili due grandi cerotti applicati all'altezza dei reni, di quelli usati contro il mal di schiena, e i segni di una serie di ipodermoclisi sugli avambracci, a seguito di un lavaggio del sangue; l'autopsia accerto' subito che da tre mesi la giovane era incinta, ma soprattutto che era morta avvelenata, perche' nel suo corpo erano state rinvenute tracce di segala, un'erba che nei paesi di campagna veniva usata per interrompere le gravidanze; solo dopo qualche tempo il caso venne denunciato all'autorita' giudiziaria. Le indagini iniziarono a far luce sulla vicenda: la ragazza era fidanzata con un cugino di qualche anno piu' grande; quando questi capi' che la cugina aspettava un bambino, consulto' una vecchia «mammana» che, per tremila lire, gli procuro' un mazzetto di erbe secche. La giovane, seguendo i consigli del fidanzato, inizio' ad applicare le erbe e a bere l'intruglio, un po' al giorno, ma dopo poco comincio' a star male, a vomitare e ad avvertire atroci dolori al ventre e ai reni; i genitori, ignari di tutto, dopo aver provato una cura casalinga con dei cerotti, si resero conto che il dolore della figlia peggiorava e chiamarono il medico di famiglia. Questi, pensando a una forma di avvelenamento, ma ignorando che la ragazza continuasse a bere il decotto, esegui il lavaggio del sangue. La decisione del ricovero in ospedale avvenne quando ormai era troppo tardi; la storia ricordata e' solo una delle tante di aborto clandestino procurato degli anni precedenti all'approvazione della legge n. 194, e delle pochissime rese pubbliche grazie alla prima inchiesta di Milla Pastorino uscita su «Noi donne» nel 1961; nel 1978, con grande e grave ritardo rispetto ai Paesi europei piu' avanzati, giunse finalmente una legge, anche se non la legge migliore, ma pur sempre meglio delle mammane e delle tanti morte provocate; a distanza di piu' di trent'anni, una relazione proprio del Ministero della salute sullo stato di attuazione della legge contenente le norme per la tutela sociale della maternita' e per l'interruzione volontaria della gravidanza, riconosce una diminuzione del 50 per cento (115 mila casi) rispetto al 1982, anno in cui fu registrato il piu' alto ricorso all'aborto, con ben 234 mila casi. Qualche giorno dopo l'approvazione di quella discussa legge, subito in parlamento si levarono voci critiche, poiche' la legge non certo perfetta lasciava prevedere delle falle: si comprese immediatamente come un numero troppo elevato di richieste di obiezione di coscienza da parte dei medici si sarebbe potuto trasformare in un «vero e proprio boicottaggio della legge». A loro avviso, andava puntualizzato che non avrebbe potuto fare obiezione di coscienza chi non partecipava direttamente all'aborto e che gli stessi obiettori avrebbero dovuto svolgere tutte le attivita' che non riguardavano l'intervento abortivo in senso stretto; torniamo all'oggi e narriamo un'altra scena: le prime luci del giorno penetrano nella stanza di un ospedale romano dove una giovane donna e' in lacrime nel suo letto. Si trova li' ormai da due giorni per subire un intervento abortivo. Siamo nel duemila, gia' inoltrato da un bel po'. La vita che porta in grembo da piu' di venti settimane e' affetta da una gravissima malformazione al cervello, tutti gli specialisti consultati le hanno sconsigliato di portare a termine la gravidanza; la procedura di induzione consiste nell'introduzione nell'utero di alcune «candelette» di prostaglandina per stimolare le contrazioni del travaglio. Fino alla dodicesima settimana l'interruzione di gravidanza avviene tramite raschiamento, ma dopo il feto e' troppo grande ed e' necessario un vero e proprio travaglio di parto. L'attesa della donna si e' protratta tantissimo perche' il giorno del ricovero erano di turno solo medici obiettori di coscienza. E tutti si sono rifiutati puntualmente di avviare la procedura. Alla donna non e' rimasto che piangere ed attendere che iniziasse il turno di un medico non obiettore; l'ultimo narrato e' solo uno dei tantissimi casi di donne, documentato da una inchiesta di una brava giornalista pubblicata su un inserto femminile di uno dei piu' noti quotidiani nazionali. La denuncia contenuta e' gravissima perche', nonostante la legge lo stabilisca, la coppia ha dovuto attendere moltissimo tempo prima di poter effettuare l'interruzione di gravidanza; quello dell'aborto sta diventando sempre piu', proprio come alcuni avevano previsto nei giorni appena successivi all'approvazione della 194, un vero e proprio percorso ad ostacoli. I dati parlano chiaro: i ginecologi obiettori di coscienza sono passati dal 58 per cento del 1994 al 69 per cento del 2006 fino al 70,7 per cento del 2009; gli anestesisti obiettori sono passati dal 45 per cento del 2003 al 51,7 per cento del 2009; il personale non medico obiettore e' passato dal 38 per cento del 1994 al 44,4 per cento del 2009. Va ricordato che percentuali di obiezione superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano in Basilicata, in Campania, in Molise e in Sicilia. Non esiste, inoltre, un elenco dei medici non obiettori; secondo una indagine empirica fatta da un'associazione di volontari, risulta che i ginecologi non obiettori strutturati dentro gli ospedali italiani sarebbero circa 150, molti dei quali in eta' avanzata, che presto andranno in pensione; di recente, alla luce di questi dati, c'e' stato chi ha ritenuto e dichiarato pubblicamente che, visti i danni, i dolori gratuiti, le ingiustizie vessatorie che produce, l'obiezione di coscienza all'aborto per i medici andrebbe addirittura vietata. Poiche' e' evidente che oggi, chi decide di fare il ginecologo, sa che l'interruzione di gravidanza e' un diritto sancito dalla legge, e che quindi rientra esplicitamente nei suoi obblighi professionali; gli ospedali non dovrebbero trincerarsi dietro la vera e propria scusa di non avere medici disponibili a effettuare le interruzioni di gravidanza perche' si tratta di un servizio che deve obbligatoriamente essere fornito, come previsto dall'articolo 9 della legge n. 194. Se e' vero che non si puo' obbligare chi obietta, e' anche vero che si potrebbe meglio organizzare il servizio sanitario garantendo la dolorosa scelta dell'aborto a quelle donne che lo richiedono, per cui andrebbe semplicemente bilanciata meglio la presenza di obiettori nelle strutture sanitarie, impedendo che siano la totalita' dei ginecologi prevedendo procedure specifiche, ed un rapporto se non proprio paritario, almeno prossimo tra medici obiettori e non all'interno delle strutture sanitarie; nella riflessione di uno dei pochi medici che non ha obiettato, Giovanni Fattorini, si coglie la particolarita' di un Paese come il nostro, in cui chi fa coraggiosamente il proprio dovere rischia perfino di essere malvisto: «Siamo stati in pochi, in questi anni, ad occuparcene nel concreto. All'inizio, quasi con titubanza, poco incoraggiati quando non malvisti da entrambe le parti: colpevoli "abortisti" per gli uni, poco difesi, quasi "imbarazzanti" per gli altri. Noi abbiamo continuato a incontrare centinaia di donne, ma anche uomini e bambini, quelli nati e quelli che non sono nati. In molti ci hanno rimesso la carriera, mente altri l'hanno fatta perche' schierati "correttamente". Certificare frettolosamente e' facile, ragionare ed entrare in relazione con la singola donna, invece, e' molto complicato. Operare nel concreto di ogni situazione, unica ed irripetibile, e' difficile. Lo abbiamo fatto senza sentirci eroi, ma medici che hanno a cuore il proprio dovere: quello verso ogni persona e verso la propria comunita' civile. Lo abbiamo fatto in condizioni ospedaliere proibitive»; in un Paese civile un comportamento simile non sarebbe vicino all'eroismo ma la normalita'. Le donne che richiedono l'applicazione della 194 non solo esercitano un diritto, ma subiscono una necessita', e le strutture sanitarie, gli ospedali, i medici, i concittadini, la Chiesa e lo Stato, dovrebbero trattarle con dignita' e rispetto se si vogliamo ancora dirci un Paese civile -: se i fatti narrati corrispondano al vero e, nell'eventualita' positiva, quali iniziative urgenti intenda adottare per evitare che al danno dell'aborto, che ogni donna soffre, si aggiunga la pena di un sistema sanitario che, tollerando in nome di un malinteso senso religioso le scelte antiabortiste di troppi medici, con la pretesa di far rispettare il diritto all'obiezione conculca di fatto il diritto alla salute riproduttiva, psicologica, impedisce il realizzarsi una loro necessita' e attenta alla liberta' di scelta della donna paziente. (4-15207)
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INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/15207 presentata da BELTRANDI MARCO (PARTITO DEMOCRATICO) in data 20120306
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20120306-
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/15207 presentata da BELTRANDI MARCO (PARTITO DEMOCRATICO) in data 20120306
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA (PARTITO DEMOCRATICO)
BERNARDINI RITA (PARTITO DEMOCRATICO)
MECACCI MATTEO (PARTITO DEMOCRATICO)
TURCO MAURIZIO (PARTITO DEMOCRATICO)
ZAMPARUTTI ELISABETTA (PARTITO DEMOCRATICO)
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2014-05-15T01:29:27Z
4/15207
BELTRANDI MARCO (PARTITO DEMOCRATICO)