_:B94c6a19b425c0dc1197722b452808c8c "Risposta scritta Atto Camera Risposta scritta pubblicata lunedì 26 gennaio 2004 nell'allegato B della seduta n. 412 all'Interrogazione 4-06825 presentata da AMORUSO Risposta. - L'interrogante ha sottoposto all'attenzione di questo ministero la situazione relativa alla bonifica dell'area costiera di Bari, nella zona di Molfetta, per la presenza di residuati bellici, e per l'affondamento della chimichiera «Alessandro Primo», avvenuto il 1 o febbraio 1991. In merito, sulla base di quanto comunicato dall'istituto per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM), si riferisce che l'allora ICRAP (istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata alla pesca) seguì con proprio personale la fase dell'emergenza dalle prime ore effettuando rilevamenti, campionamenti e analisi, volte a disporre dati per il comitato incaricato di affrontare l'emergenza. Le attività di controllo e monitoraggio relative al carico di 550 tonnellate di acrilonitrile e 3000 tonnellate di 1,2 dicloroetano, trasportati dalla Alessandro Primo, si conclusero con l'avvio delle attività di bonifica del relitto. Sulla base dell'esperienza dell'istituto incaricato, si ritiene che, per la M/C «Alessandro Primo», sia ipotizzabile un caso di autoaffondamento. Relativamente agli ordigni bellici, affondati, l'ICRAM ha pubblicato, su incarico del servizio difesa del mare del ministero dell'ambiente, un manuale illustrativo delle misure precauzionali da adottare in caso di salpamento di tali residuati mediante reti da traino, destinato alle marinerie adriatiche, e, nel 1999 ha condotto una campagna di prospezioni subacquee su uno dei siti individuati nell'ambito del programma di ricerca denominato A.C.A.B (Armi Chimiche Affondate e Benthos), volto ad acquisire elementi di valutazione in ordine alle conseguenze ambientali della presenza sui fondali marini di residuati bellici a caricamento speciale e a caricamento convenzionale. Le ricerche avviate con il progetto ACAB, grazie a finanziamento comunitario (progetto R.E.D. C.O.D. - Research on Environmental Damage caused dy Chemical Ordnance Dumped at sea), sono tuttora in corso per ampliarne valenza e significabilità. Le attività di ricerca complessivamente svolte hanno interessato, in particolar modo, le acque pugliesi e dalle indagini è emerso un quadro, soprattutto relativo alla presenza di questo ultimo tipo di residuati bellici e all'estensione e alla valenza ecologica dell'inquinamento riscontrato, che giustifica le preoccupazioni espresse dall' Onorevole interrogante. Con il progetto A.C.A.B. sono state redatte le mappe di quattro aree del basso Adriatico, vaste decine di miglia quadrate, dove si ritiene siano presenti almeno ventimila residuati bellici a carica chimica. Gli studi effettuati su un'area estesa dieci miglia nautiche quadrate, impiegando, tra l'altro, strumentazione elettroacustica, magneometrica robotizzata, ha permesso di individuare centodue «bersagli», classificati come possibili ordigni; sedici di questi sono stati ispezionati mediante robot filoguidato e undici sono risultati essere ordigni a carica chimica corrosi. I campioni di acqua, il sedimento e i pesci prelevati in prossimità degli ordigni sono stati sottoposti a quattro diverse metodologie di analisi che, nel complesso, indicano la sussistenza di danni e rischi per gli ecosistemi marini riferibili a inquinanti persistenti rilasciati dai residuati corrosi. Le ricerche effettuate soprattutto sui fondali dell'isola di Pianosa (arcipelago delle isole Tremiti), hanno evidenziato che gli ordigni convenzionali affondati, sebbene in misura minore rispetto a quelli «a caricamento speciale», pongono rischi per l'ambiente marino. Sui fondali dell'infralitorale di Pianosa sono dispersi numerosi residuati bellici risalenti alla seconda guerra mondiale, in particolare bombe d'aereo. La metodologia d'indagine multidisciplinare impiegata si è rivelata in grado di evidenziare alterazioni nei valori di alcuni biomarker ascrivibili al rilascio di composti inquinanti conseguente la corrosione dei residuati bellici. La consultazione di documentazione reperita presso archivi militari e civili, relativa alle operazioni di bonifica dei porti pugliesi, effettuata al termine del secondo conflitto mondiale dalla marina militare italiana, attesta come, per una decade e con cadenza frequente, convogli carichi di materiale bellico recuperato e obsoleto abbiano scaricato migliaia di tonnellate di residuati sui «fondali prescritti». La localizzazione di questi fondali è molto ardua perché le coordinate geografiche dei siti di affondamento sono spesso omesse dai documenti sinora reperiti e molti residuati sono stati dislocati dai motopesca con reti al traino. Data la difficoltà tecnologica di individuare i residuati dispersi su ampi tratti di fondale, un'eventuale attività di bonifica dovrebbe essere indirizzata ai siti d'intervento localizzati, secondo una scala di priorità che contempli criteri ambientali e di sicurezza. Per quanto concerne la possibilità di bonifica dei fondali interessati dalla presenza di residuati bellici è utile considerare tre differenti situazioni: a) residuati bellici giacenti su fondali accessibili da operatori subacquei. I bassi fondali delle coste adriatiche pugliesi sono particolarmente interessati dalla presenza di residuati bellici scaricati in mare al termine del secondo conflitto mondiale. Operatori ICRAM hanno effettuato immersioni sui fondali dell'avamporto di Molfetta (Bari) ed hanno rilevato, a dieci metri di profondità, ingenti quantità di materiale bellico. Come detto, anche i bassi fondali dell'isola di Pianosa, zona di riserva integrale dell'area naturale marina protetta delle isole Tremiti, sono interessati dalla presenza di residuati bellici. La bonifica dei bassi fondali del litorale pugliese è affidata principalmente al nucleo S.D.A.I. (Sminamento Difesa Antimezzi Insidiosi) della marina militare con sede a Taranto. Nel solo tratto di mare antistante la località Torre Gavettone (Molfetta, Bari) gli sminatori subacquei hanno recuperato e fatto brillare decine di migliaia di ordigni; b) Residuati bellici a caricamento speciale giacenti su alti fondali. I problemi posti dall'affondamento in mare di ingenti quantità di armi chimiche sono rilevanti e l'argomento sempre più, riveste interesse a livello internazionale. La NATO in uno studio del 1996, ha riconosciuto che l'esistenza di ordigni a carica chimica sui fondali dell'Oceano Atlantico e del Mar Baltico, pone un grave pericolo per gli operatori della pesca e che le quantità affondate devono ancora essere determinate. Nell'aprile 2001, nel corso dell'incontro dei Ministri dell'ambiente Adriatic-Ionian Iniziative: environmental priorities svoltosi ad Ancona, i Ministri dell'ambiente dei paesi che si affacciano sull'Adriatico e sullo Jonio hanno riconosciuto la rilevanza del problema ed espresso l'interesse a sviluppare iniziative volte a minimizzare le conseguenze determinate dalla presenza di ordigni affondati. Per quanto concerne l'ipotesi di bonifica dei fondali pugliesi interessati dalla presenza di ordigni a carica chimica, si ritiene necessario, prioritariamente, estendere gli studi effettuati nell'ambito del progetto A.C.A.B. (nel corso del quale sono state individuate le aree di principale accumulo) e sperimentare con un progetto pilota le migliori tecnologie disponibili. La bonifica da residuati, in particolar modo, per quel che riguarda quelli a carica chimica dispersi su alti fondali, non ha infatti precedenti e comporta implicazioni legate alla sicurezza del personale impiegato e all'utilizzo di strumentazione sofisticata che impongono la sperimentazione attraverso una fase pilota. Quanto allo scarico in mare di idrocarburi a seguito di attività di lavaggio cisterne, tale fenomeno, purtroppo, non interessa solamente l'Adriatico, ma investe tutto il bacino del Mediterraneo. Esso può essere fronteggiato solo, attraverso un'intensa attività di vigilanza in mare da parte della guardia costiera nazionale, possibilmente in collaborazione con gli stati adriatici frontalieri. Agli oneri finanziari connessi all'attività di vigilanza antinquinamento in mare del corpo delle capitanerie di porto, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio già contribuisce annualmente per 2.792.0676,74 euro. Si fa inoltre presente che questo ministero sta predisponendo, insieme agli Stati di Croazia e Slovenia, un piano di cooperazione per la lotta all'inquinamento e prevenzione dello stesso nell'area del medio e alto Adriatico. Si aggiunge, infine, che il disastro causato dal naufragio della petroliera Prestige al largo delle coste della Galizia, ha reso particolarmente urgente il rafforzamento delle misure di controllo per garantire la sicurezza marittima delle coste europee, segnatamente nella fase di attuazione di tali misure. Al fine di elevare il livello di protezione delle aree marine e costiere, in occasione del consiglio Unione europea trasporti del 28 marzo 2003, cinque Stati membri (Spagna, Francia, Portogallo, Regno Unito e Irlanda) hanno presentato un'iniziativa per definire ed individuare «zone marine particolarmente sensibili» da attuare in ambito IMO. Si tratta di localizzare aree le cui caratteristiche giustificano l'adozione di misure particolari per la prevenzione, riduzione e controllo dell'inquinamento da parte delle navi, comprese quelle in transito. L'iniziativa è stata accolta favorevolmente dal nostro Paese che, ha peraltro, auspicato l'avvio in tempi brevi di azioni analoghe in tutte le acque di interesse comunitario, compreso il mare Mediterraneo. Inoltre, con particolare riferimento proprio al mare Adriatico, l'Italia intende promuovere una attenta riflessione circa la possibilità di procedere alla realizzazione di zone di pesca protette e di altre forme di azione a protezione dell'ambiente marino e delle risorse ittiche, sulla base delle indicazioni contenute nella comunicazione della commissione «Piano d'Azione per il Mediterraneo». In questa prospettiva, la Presidenza italiana dell'Unione europea attribuisce grande rilievo alla Conferenza Euro-Mediterranea sulla Pesca, che si terrà a Venezia alla fine di novembre, quale momento per dare avvio e impulso ad un approccio comune in materia di tutela dell'ambiente e di protezione delle risorse del Mare Mediterraneo che coinvolga, in un ampio confronto, tutti i Paesi rivieraschi direttamente interessati. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio: Altero Matteoli." . _:B94c6a19b425c0dc1197722b452808c8c "20040126" . _:B94c6a19b425c0dc1197722b452808c8c "MINISTRO AMBIENTE E TUTELA TERRITORIO" . _:B94c6a19b425c0dc1197722b452808c8c . "Camera dei Deputati" . "AMORUSO FRANCESCO MARIA (ALLEANZA NAZIONALE)" . . "20030707-20040126" . . "Interrogazione a risposta scritta Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-06825 presentata da FRANCESCO MARIA AMORUSO lunedì 7 luglio 2003 nella seduta n. 335 AMORUSO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che: il 2 dicembre 1943 la Luftwaffe bombardava nel porto e nella rada di Bari 30 navi da guerra inglesi ed americane cariche di bombe e di contenitori di gas vescicanti (Iprite e Lewisite), asfissianti (Fosgene e Difosgene), irritanti (Adamsite) e tossici della funzione cellulare (ossido di carbonio, acido cianidrico e fosforo), già proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925. In quella occasione 17 navi furono affondate, 8 danneggiate parzialmente ed affondate al largo, più di mille furono i morti ed altrettanti contaminati, ustionati ed invalidati permanentemente. Tutto il carico restante, compreso quello dei centri specializzati per la produzione e lo stoccaggio di Bari e Lecce degli alleati, fu trasportato e disseminato dagli stessi in quattro distinte zone (poi classificate come A-B-C-D) al largo di Molfetta ad una profondità compresa fra 100 e 200 metri (in alcuni casi - V. Torre Gavettone - a soli 4-5 metri). L'accordo fra il Ministero della marina mercantile e gli alleati prevedeva che gli ordigni chimici dovevano essere affondati ad una profondità minima di 460 metri e ad una distanza dalla costa di almeno 20 miglia; nell'agosto 1958 sul Giornale della Medicina Militare, a firma del capitano medico Adamo Mastrorilli, uno studio riferiva che tra il 1946 ed il 1954 102 persone che avevano avuto contatto con gli ordini summenzionati, avevano ricevuto cure presso l'ospedale di Molfetta e l'intero equipaggio di un motopesca, 5 persone, erano decedute dopo essere venute in contatto con una bombola Mustard gas corrosa; tra il 1958 ed il 1997 sono stati denunciati, sia presso i presidi ospedalieri rivieraschi che alla Cassa marittima meridionale di Molfetta, altri 124 casi di contaminazione da ordigni venefici pescati nella cosiddetta «zona delle munizioni»; il 1 o febbraio 1991 affondava nella medesima zona la Alessandro I che trasportava 3.550 tonnellate di Dicloroetano ed Acrilinitrile recuperata 2 mesi dopo. Resta il sospetto che la nave, non avendo falle e non essendoci particolari gravi condizioni meteo-marine, fosse predisposta all'ingavonamento e che potesse trattarsi di una di quelle «navi a perdere» che ricorrono spesso nelle indagini che varie procure italiane stanno effettuando da anni; nel novembre 1994, dilaniato da un potentissimo ordigno, affondava il motopesca molfettese Francesco Padre con tutto il suo equipaggio. Successivamente il motopesca fu ritenuto, ingiustamente e senza la prova dei fatti, colpevole di traffico illegale di armi belliche; con due successivi dossier, del 1995 e del 1996, Legambiente denunciava gli affondamenti sospetti al largo delle acque territoriali italiane concentrando l'attenzione sull'attività della «O.D.M.», società con sedi a Lugano, Mosca, Lussemburgo e Lettonia, che anche attraverso internet propaganda lo smaltimento di rifiuti radioattivi e di amianto tramite i siluri penetratori (cilindri metallici a forma di siluro caricati con scorie radioattive vetrificate o cementate). Nella stessa indagine, Legambiente individuava un secondo, alternativo processo di smaltimento attraverso l'affondamento delle cosiddette «navi a perdere», che risultano essere in tutto il Mediterraneo circa 40; su queste vicende stanno indagando da anni la magistratura, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, ed i Lloyd's di Londra per smascherare, fra l'altro, una possibile truffa assicurativa; nel maggio 1999 scoppiava il caso delle bombe a grappolo (le Blu 97 a Paracadute) che nonostante il divieto della Convenzione di Ginevra, furono utilizzate dalla NATO nella guerra contro la Serbia mentre quelle inutilizzate furono affondate a largo di Chioggia, Senigallia, Fano e Molfetta e mai totalmente recuperate, nonostante una tanto pubblicizzata azione di bonifica. In relazione alla stessa guerra, emerge all'inizio di quest'anno, la questione dell'uranio impoverito che potrebbe essere stato usato per il confezionamento degli ordigni poi dispersi in mare; nel gennaio 2000 veniva consegnato al Ministero dell'ambiente il progetto ACAB commissionato dall'ICRAM per una indagine, al largo di Molfetta, dalla quale risulta «la sussistenza di danni e rischi per l'ecosistema marino, determinati da inquinanti persistenti rilasciati da residui corrosi. Inoltre i campioni evidenziano tracce significative di arsenico ed iprite e la sussistenza di condizioni di sofferenza dei pesci». Dall'analisi risulta anche che «i pesci dell'Adriatico sono particolarmente soggetti all'insorgenza di tumori, subiscono danni all'apparato riproduttivo e sono esposti a vere proprie mutazioni genetiche». Risultano anche riscontri di pesce al mercurio con indici superiori ai livelli critici e casi Anisakis molto diffuso nel pesce azzurro; tra gli altri agenti inquinanti questo tratto di mare risultano esserci: a) gli incidenti alle navi petroliere (dal 1955 ad oggi 1.300 in tutto il Mediterraneo), la pulizia ed il lavaggio delle cisterne e lo scarico in mare dei rifiuti delle navi. Da ciò consegue che nel Mediterraneo ed in particolare nell'Adriatico, risulta esserci la più alta densità di catrame tra tutti i mari nel mondo - 38 mg/m3 - essendoci il 25 per cento di traffico mondiale di greggio nello 0,7 per cento delle acque del pianeta; b) scarichi in mare del petrolchimico di Brindisi e dell'Enichem di Manfredonia; c) il caprolattame e gli scarichi non depurati degli oleifici; d) il cattivo funzionamento dei depuratori delle acque reflue urbane ed, in qualche caso la loro assenza; e) il grave apporto inquinante dei corsi d'acqua che sfociano nell'Adriatico ed in particolare del fiume Po che raccoglie numerose sostanze inquinanti dall' hinterland milanese, eleva particolarmente la concentrazione di metalli pesanti nelle acque che versa in mare attraverso un sempre più pericoloso processo di eutrofizzazione, dando luogo alle sempre più frequenti invasioni di mucillagini delle nostre coste; nonostante già nel 1994 l'allora Vice Presidente del Consiglio, onorevole Pinuccio Tatarella avesse attivato presso gli Stati Uniti e la Comunità europea una richiesta di bonifica dell'Adriatico, e più volte il sottoscritto abbia portato all'attenzione del Parlamento la questione, non sono state ancora adottate le misure necessarie per far fronte alla situazione -: quali urgenti misure i Ministri interrogati ciascuno per le proprie competenze, intendano attivare per una puntuale definitiva bonifica dell'area costiera denunciata in premessa.(4-06825)" . "1"^^ . "INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/06825 presentata da AMORUSO FRANCESCO MARIA (ALLEANZA NAZIONALE) in data 07/07/2003" . . "INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/06825 presentata da AMORUSO FRANCESCO MARIA (ALLEANZA NAZIONALE) in data 07/07/2003"^^ . . "20030707" . . . . "INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA" . "4/06825" . "20040126" . "2015-04-28T22:34:33Z"^^ . . . _:B94c6a19b425c0dc1197722b452808c8c .