INTERPELLANZA 2/00905 presentata da TASSONE MARIO (MISTO) in data 19980211
http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic2_00905_13 an entity of type: aic
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri ed i Ministri per la funzione pubblica e gli affari regionali e di grazia e giustizia, premesso che: la problematica della rappresentativita' sindacale costituisce a tutt'oggi un grosso nodo, non risolto nell'ambito del pubblico impiego e neppure nella contrattazione collettiva del settore industriale; il vigente decreto legislativo 4 novembre 1997 n. 296 (recante "Modificazioni al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in materia di contrattazione collettiva e di rappresentativita' sindacale nel settore del pubblico impiego, a norma dell'articolo 11, commi 4 e 6, della legge 15 marzo 1997, n. 59") costituisce un tentativo di regolamentare specificamente per i lavoratori del pubblico impiego la materia; ai fini della contrattazione collettiva nazionale e decentrata nonche' integrativa riguardante il personale appartenente al pubblico impiego, l'articolo 7 del predetto decreto legislativo 396/1997 determina il criterio minimo per la rappresentativita' sindacale, in ragione del 5 per cento a partire dal 1^ gennaio 1998 e transitoriamente in ragione del 4 per cento per il 1997; le organizzazioni sindacali, che isolatamente non raggiungerebbero le predette percentuali di rappresentativita', possono stipulare (articolo 7 del decreto legislativo citato) patti federativo-associativi, validi purche' regolarmente notificati all'Aran e al Dipartimento per la funzione pubblica entro il 29 novembre 1997 (scadenza normativamente prevista dal citato decreto legislativo per la rilevazione dei dati sulla rappresentativita' sindacale); e' verificabile dalla cronaca spicciola - per contro - la mancata osservanza di tale assunto normativo da parte di talune Amministrazioni pubbliche, in ordine all'ammissione a trattative od incontri per sindacati del pubblico impiego che pure hanno validamente stipulato i menzionati patti; in talune situazioni, Cgil-Cisl-Uil rivendicano con episodi di prevaricazione contro il sindacalismo autonomo l'agibilita' e le liberta' sindacali unitarie, e si rendono complici nonche' - talvolta - ispiratori palesi od occulti di quegli illegittimi comportamenti amministrativi; un caso tipico di tale orientamento prevaricatorio e' costituito dal recente episodio occorso alla Dirstat-Confedir (sindacato autonomo dei funzionari direttivi e dirigenti dello Stato) nel Ministero per i beni culturali ed ambientali - gia' documentato da precedenti interrogazioni parlamentari a risposta scritta e da interpellanze presentate in entrambi i rami del Parlamento - nonche', recentissimamente, nel ministero delle finanze; in forza dei vigenti criteri sulla rappresentativita' (in ordine ai quali la Dirstat-Confedir si riserva comunque ogni azione a propria tutela), la medesima organizzazione sindacale ha stipulato - prima del 29 novembre 1997 - con l'organizzazione sindacale Fas (facente capo alla Cisal) un patto federativo-associativo, regolarmente notificato all'Aran e al Dipartimento per la funzione pubblica entro il predetto termine; tale patto federativo-associativo, espressamente previsto dal citato decreto legislativo, offre a tale formazione sindacale l'opportunita' di far valere una rappresentativita' in ragione del 16 per cento (ben oltre la quota minima); ad onta della predetta notifica, si verifica talvolta che in singole Amministrazioni statali la Dirstat-Confedir non e' ammessa ad incontri tra le medesime Amministrazioni e le organizzazioni sindacali rappresentative respingendosi nei fatti l'efficacia del menzionato patto federativo che cosi' - nei casi di specie - e' arbitrariamente reso irrilevante -: quali siano i provvedimenti urgenti che la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia eventualmente assunto per consentire alla Dirstat-Confedir di partecipare legittimamente ai vari incontri sindacali, nonche' quelli per l'annullamento degli accordi sindacali eventualmente stipulati in assenza forzata ed illegittima della predetta rappresentanza dei funzionari; se sia lecito che singole Amministrazioni, pur garanti istituzionali degli interessi della collettivita', assumano comportamenti tristemente proni alla violenza morale ed alla prevaricazione politica operata da centri (palesi od occulti) di potere politico-sindacale non riconosciuti dall'ordinamento giuridico italiano quali interlocutori istituzionali; se - in termini generali - sia vero che, nell'ambito del personale pubblico "privatizzato" come nell'ambito delle forze di polizia ad ordinamento civile (e fermo restando, per entrambi i settori, il carattere pubblico del rapporto d'impiego), una nozione presuntiva di "rappresentativita'" attraversa - per motivi che sono sotto gli occhi di tutti, ed avuto riguardo al responso referendario in materia - una fase irreversibile di delegittimazione e sgretolamento progressivi; se sia condivisibile l'opinione per cui il nodo della rappresentativita' sindacale, quale strumento per l'accreditamento negoziale, ben difficilmente potra' essere sciolto se non lo s'affronta connettendolo strettissimamente col fenomeno della rappresentanza in senso tecnico, che in effetti costituisce il vero meccanismo tecnico-giuridico mediante il quale e' determinata l'operativita' diretta degli atti negoziali compiuti dall'associazione sindacale nella sfera giuridica dei singoli rapporti di lavoro; se la previsione di criteri di rappresentativita' sindacale compatibili con le norme costituzionali riproponga sempre un'importante riflessione sulla tutela della rappresentanza del sindacato di categoria ex articolo 39 - commi primo e quarto - della Costituzione, considerando che l'ambito categoriale rappresenta la sede naturale di misurazione della rappresentativita' sindacale in termini effettivi e non presuntivi, e che una soluzione non attenta di questo profilo corre il rischio di trasporre nel pubblico impiego la problematica dell'efficacia erga omnes della contrattazione collettiva; se sul piano effettuale vada mantenuta ferma una differenziazione di fondo dei ruoli rappresentativi delle organizzazioni sindacali, riconducibile alla distinzione tra rappresentanza e rappresentativita', considerando la rappresentanza come il meccanismo tecnico-giuridico mediante il quale si determina l'operativita' diretta degli atti negoziali compiuti, e la rappresentativita' come espressione (nel suo sviluppo storico) d'una funzione selettiva per la partecipazione a funzioni pubbliche; se la nozione di rappresentativita' sia, quindi, originariamente collegata ad elementi categoriali di riferimento e ad elementi di consistenza effettiva del coefficiente rappresentativo; se il modello sindacale pluricategoriale sia, al contrario, solo in parte presente nell'articolo 39 della Costituzione e si situi tipicamente piu' sul versante della cosiddetta "istituzione pubblica di secondo grado" che non sul versante dell'"ente esponenziale" degli interessi collettivi del gruppo professionale; se ai fini della contrattazione collettiva la nozione di rappresentativita' operi in via diretta soltanto nell'ambito della propria funzione selettiva, mentre al livello degli effetti del contratto collettivo e della loro destinazione soggettiva rilevi non la rappresentativita' bensi' la rappresentanza in senso tecnico, la sola idonea a governare l'efficacia soggettiva del contratto collettivo in rapporto al suo contenuto normativo, in quanto ad essa occorre riportarsi per il compimento di atti negoziali destinati ad operare nella sfera concreta del rapporto di lavoro o comunque nella sfera giuridica individuale; se la confusione e la sovrapposizione di piani conduca inevitabilmente all'errore di volere spiegare l'ambito effettuale dell'autonomia collettiva e delle sue manifestazioni normative in termini di rappresentativita' e non di rappresentanza e, viceversa, di voler spiegare in termini di rappresentanza tecnica fenomeni di tutela rientranti invece nel versante della funzione rappresentativa d'interessi; se - in particolare - la nozione di rappresentativita', pur continuando ad esplicare la sua originaria funzione selettiva per la partecipazione ad organi collegiali della pubblica amministrazione, sia oggi pervenuta ad esprimere - specialmente nella vigente contrattualistica - anche la selezione del soggetto negoziale, assumendo di conseguenza una funzione d'accreditamento negoziale; se sia vero che, pur riconoscendo i limiti della nozione privatistica di rappresentanza, il fenomeno espansivo delle funzioni rappresentative dei sindacati non puo' "azzerare" il meccanismo tecnico-giuridico attraverso il quale l'autonomia collettiva delle associazioni sindacali opera sul piano dell'efficacia soggettiva della contrattazione collettiva, e che pertanto il problema, piu' che accentrarsi sul versante della rappresentativita', va situato nella prospettiva della ricerca di nuove dimensioni della rappresentanza; se lo scontro tra sindacati di massa e sindacati di categoria (derivanti dall'associazione di interessi differenziati e qualificati "di gruppo"), che ha caratterizzato gli anni settanta e ottanta, sostanzialmente rappresenti lo scontro tra antietiche concezioni esistenziali riflesse nel mondo del lavoro, e se in tale assetto le relazioni sindacali venissero impostate sulla base della preferenza della base contrattuale assegnata alla Cgil-Cisl-Uil; se su tale situazione, non contemplata dall'articolo 39 della Costituzione (il quale sancisce la liberta' di associazione sindacale e non prescrive alcuna preferenza per le cosiddette confederazioni nazionali, ne' tantomeno discrimina nel quadro della liberta' i sindacati "di categoria"), sia peraltro intervenuta ripetutamente anche la giustizia amministrativa nell'alveo della propria tradizione di organo tutorio della liberta' del singolo, eliminando assetti precostituiti di rappresentanze sindacali deferite dall'alto; se, stando all'articolo 39 della Costituzione, l'unico limite consentito dal sindacato sia la registrazione (secondo comma), con il conseguente riconoscimento della personalita' giuridica; se, poiche' la Costituzione - nel prescrivere la rappresentanza unitaria in rapporto ai propri iscritti nonche' il diritto a stipulare contratti collettivi, e quindi (sussistendo tali due requisiti) l'efficacia erga omnes della normazione prodotta - e' fonte primaria per la legge-delega anche in ordine ai criteri di rappresentativita' sindacale, debba rimanere salvo il fondamentale e democratico principio generale della rappresentanza d'interessi specifici; se, in effetti, il principio della rappresentativita' debba configurarsi od essere inteso non in senso meramente quantitativo, e se in particolare vada tenuto conto (fra gli elementi costitutivi della "rappresentativita'") degli interessi professionali di categoria, che hanno autonoma e differenziata rilevanza nell'ambito di un comparto, sotto i profili della professionalita' e della responsabilita'; se, pertanto, ogni trattativa sindacale debba uniformarsi all'obbligo tassativo della presenza contestuale delle parti contraenti, alla rappresentanza sindacale derivante dalla registrazione di cui all'articolo 39 della Costituzione, al divieto (da parte pubblica) d'imporre "premi di maggioranza presuntivi" nel comparto in ordine al diritto a contrarre; se, viceversa, tale tesi contrasti apertamente le posizioni di Cgil, Cisl e Uil (che appaiono sostenute ed avallate dall'attuale Governo), a cominciare dall'intesa-quadro intercorsa tra i predetti sindacati confederali politicizzati il 1^ marzo 1991, e se quest'intesa-quadro, partendo dalle RSU (Rappresentanze sindacali unitarie), si sia ripromessa d'estromettere effettivamente dall'agone politico-sindacale ogni sindacato autonomo, ancorche' adeguatamente rappresentativo del personale; se tale posizione abbia poi costituito il lievito per una serie di proposte di legge, tutte ideologicamente qualificate nell'ambito della sinistra marxista e/o paramarxista, di cui si fornisce l'elenco: la proposta di legge AC 5693 (Franco Russo, Lazinger, Russo Spena, Andreis, Ronchi, Tamino, Scalia, Mattioli, Donati, Calamida, Arnaboldi: elaborata dal "Forum diritti-lavoro) della IX legislatura, ripresa dalla X legislatura dalla proposta AC 1942 (Russo Spena, Paissan, Alfredo Galasso, Azzolina, Bolognesi, Fava, Mattioli, Nuccio, Piscitello, Ronchi, Scalia, Calini) nonche' dalle proposte AC 415 (Cibressi, Bassolino, Rodota', Mussi, Pizzinato, Barbera, Bassanini, Violante, Rebecchi, Turco, Sanna, Bargone, Larizza, Innocenti, Menilla), AC 1281 (Garavini, Lucio Magri, Renato Albertini, Azzolina, Bacciardi, Barzanti, Bergonzi, Boghetta, Bolognesi, Brunetti, Calini, Caprili, Carcarino, Crucianelli, De Pasquale, Dolino, Dorgio, Fichetti, Galante, Goracci, Lento, Maiolo, Manisco Ramon Mantovani, Marino, Melandri, Mita, Muzio, Russo Spena, Sarritzu, Sestero, Gianotti, Speranza, Tripodi, Vendola, Volponi) ed AC 1306 (Antonio Magri, Calderoni, Flego, Latronico, Bonato, Alda Cirassi, Oreste Rossi, Magistroni, Peraboni, Bertinotti, Terzi, Maurizio Balocchi, Provera, Sartori, Michielon, Borghezio, Luigi Rossi, Gianmarco Mancini, Polli, Bossi); se tali proposte formulate durante la X legislatura (tutte mai esaminate) intendessero risolvere la crisi del sindacalismo confederale costituendo Rsu le quali, togliendo spazio ai restanti sindacati, consacrassero la rappresentativita' di Cgil-Cisl-Uil federate in organismi unitari, mandando al macero il concetto di rappresentativita' (salvo che per le intese intrercompartimentali) a vantaggio d'una discutibile "premialita'" per le liste unitarie, ed esaltando un "principio referendario" di stampo panoperaista; se ora - stante la nuova normazione in materia - quei lavoratori, i quali non si facciano rappresentare dai sindacati confederali e non si riconoscano comunque nella loro attuale linea sindacale, corrano il rischio di non poter far valere in alcuna materia i loro diritti e d'esser sottoposti nel loro ambiente lavorativo a possibili condizionamenti perenni; se - con riguardo al delicatissimo settore della giustizia - una strana applicazione normativa del concetto di "rappresentanza sindacale unitaria" sia stata preconizzata nella normativa penitenziaria, e precisamente nella legge 12 agosto 1993, n. 296 ("Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonche' sull'espulsione dei cittadini stranieri", il cui testo fu effettivamente definito - per la materia penitenziaria - quanto l'ex-direttore generale delle carceri, il magistrato Nicolo' Amato, era ancora alla guida del Dipartimento), la quale nell'articolo 2 - primo comma, lettera a-ter (sostitutivo dell'articolo 20 della legge 26 luglio 1975, n. 354, tramite l'aggiunta, in particolare, dei commi 7 e seguenti) - contempla espressamente che "per la formazioni delle graduatorie all'interno delle liste e per il nulla osta agli organismi competenti per il collocamento, e' istituita, presso ogni istituto una commissione composta dal direttore, da un appartenente al ruolo degli ispettori o dei sovrintendenti del Corpo di polizia penitenziaria e da un rappresentante del personale educativo, eletti all'interno della categoria di appartenenza da un rappresentante unitariamente designato dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative sul piano nazionale, da un rappresentante designato dalla commissione circondariale per l'impiego territorialmente competente e da un rappresentante delle organizzazioni sindacali territoriali. - Alle riunioni della commissione partecipa senza potere deliberativo un rappresentante dei detenuti e degli internati, designati per sorteggio secondo le modalita' indicate nel regolamento interno dell'istituto. - Per ogni componente viene indicato un supplente eletto o designato secondo i criteri in precedenza indicati"; se il predetto schema elettorale - tre membri complessivi della Commissione (di cui, per nomina elettiva, un educatore ed un ispettore o sovrintendente del Corpo di polizia penitenziaria) - presupponga la prevista elezione di tre persone a cio' designate secondo uno schema RSU (rappresentante unitario delle organizzazioni sindacali nazionali, rappresentante della Commissione circoscrizionale per l'impiego, rappresentante delle organizzazioni sindacali territoriali); se la sussistenza di tale procedimento elettivo legittimi il sorgere di parecchi interrogativi concernenti - a prescindere da altri importanti problemi che possono emergere in materia di sicurezza - l'individuazione delle rappresentante sindacali, da inserire nelle Commissioni interne agli Istituti per la formazione delle graduatorie dei detenuti da ammettere al lavoro intramurario; se conseguentemente, allo stato dei fatti, non si ritenga necessario almeno interpretare autenticamente la citata normativa penitenziaria, consentendo l'individuazione di tali rappresentanti sindacali con riguardo ai seguenti criteri: a) scelta dal rappresentante unitario, col sistema della rotazione annuale (che garantirebbe maggiore democrazia interna), da tutte la rappresentanze delle organizzazioni sindacali in atto rappresentative sul piano nazionale nei vari settori, collegialmente riunite all'uopo in via preventiva; b) definizione del medesimo criterio per la designazione del rappresentante delle organizzazioni sindacali territoriali, salvo quanto disposto alla piu' recente normazione in tema di rappresentativita' sindacale decentrata; se comunque, con riferimento ad esigenze specifiche del settore penitenziario, la problematica delle rappresentanze sindacali nella predetta Commissione sul collocamento dei detenuti al lavoro possa incidere - almeno al livello d'orientamento politico - nel novero delle fattispecie giuridiche effettivamente applicabili di questa legge, con riguardo anche ad implicazioni che investono sostanzialmente il mantenimento dell'ordine, della sicurezza e della disciplina negli istituti in relazione ai seguenti punti: a) criteri per l'ammissione dei detenuti e degli internati al lavoro, considerando che: 1) appare difficile armonizzare il dettato della legge 296/1993 (innovante il sesto comma dell'articolo 20 della legge 354/1975), poiche' il criterio del quale si deve in merito tener conto esclusivo e' ora quello dell'anzianita' di disoccupazione durante il periodo di privazione della liberta' personale; 2) cio' contrasta - seppure parzialmente - con l'articolo 47 del Regolamento d'esecuzione definito nel decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431 (modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1977 n. 339 nonche' dai decreti del Presidente della Repubblica 29 ottobre 1984, n. 805 e n. 806, dal decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 1975, n. 421 e dal decreto del Presidente della Repubblica 18 maggio 1989, n. 248), norma la quale espressamente continua a riferirsi al "comportamento tenuto" (cio' anche dopo la modifica effettuata su tale testo dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 248/1989 citato); 3) stando alla lettera della legge nuova, nessun valore distintivo e "trattamentale" sembrerebbe ora rivestire la correttezza comportamentale (intesa come consapevole adesione alle regole); 4) cio' assume importanza speciale in ordine ad attivita' lavorative che per la loro specificita' esigono come conditio sine qua non la piena affidabilita' del detenuto (elemento non suscettibile d'attribuzione di punteggi e difficilmente affrontabile in un contesto - come quello della Commissione in parola - ove si riscontrano persone estranee all'Amministrazione ed anche un detenuto, dal momento che queste ultime figure non sono tutte vincolate al segreto d'ufficio); b) criteri concorrenti alla formazione della graduatoria, considerato che: 1) non vengono indicate priorita' ne' punteggi specifici (tali da consentire un'interpetazione univoca); 2) si verificherebbero certamente - percio' - discrepanze tra una Commissione e l'altra, contro ogni auspicabile parita' di trattamento in presenza d'identiche situazioni oggettive e soggettive), e senza annoverare le esigenze d'un aggiornamento costante ed "in tempo reale" della graduatoria (in considerazione del continuo ingresso che si verifica quotidianamente in qualunque istituto e soprattutto in una Casa Circondariale, con detenuti giudicabili): cio' comporterebbe una difficile praticabilita' di tale aggiornamento, il quale finirebbe per tradursi in un dispendio inutile d'energia (stante, parallelamente, la talvolta breve permanenza dell'indagato detenuto); c) individuazione corretta dei detenuti o degli internati destinatari della normativa, considerando che: 1) il criterio dell'anzianita' di disoccupazione potrebbe privilegiare i detenuti od internati piu' pericolosi, i quali per il lungo periodo di detenzione (derivante dalle condanne loro inflitte) occuperanno le posizioni migliori nella graduatoria e, svolgendo un'attivita' lavorativa per un tempo indeterminato, di fatto impediranno i turn-over che agevolerebbero ogni Direzione nella gestione degli istituti; 2) la necessita' d'acquisire, dagli organismi competenti al collocamento, il relativo "nulla osta" comporta la comunicazione all'esterno dei nomi di tutte le persone ristrette in quell'istituto in un dato momento; se (tornando ai termini generali, presi in considerazione dal presente documento) l'instaurazione d'un sistema giuridico cosi' antidemocratico - in materia di pubblico impiego e, particolarmente, di rappresentativita' sindacale - risalga alle convulse vicende connesse all'approvazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421; se - in particolare - risulti storicamente riscontrabile che gia' nell'estate del 1992, dando avvio alle attivita' del suo governo, l'onorevole Giuliano Amato manifesto' al Parlamento ed all'opinione pubblica l'intenzione di chiedere i pieni poteri (almeno in materia economica, egli disse), e che le preoccupazioni sollevata da tale richiesta indussero il Presidente della Repubblica onorevole Sca'lfaro ad intervenire per un riequilibrio politico; se - malgrado l'intervento del Capo dello Stato - il capo di quel Governo abbia continuato ad intimorire l'elettorato italiano facendolo credere sull'orlo d'un abisso, nonche' inducendolo a scegliere tra l'immolarsi sull'altare del fisco ed il rassegnarsi ad un presunto disastro economico collettivo; se - per immediata conseguenza - l'allora Ministro delle finanze onorevole Franco Reviglio si sia incaricato di dare la "toccatina" del 6 per mille ai conti correnti ed ai libretti postali, e se tale prelievo forzoso abbia prodotto una fuga di risparmiatori al di la' delle Alpi, il tracollo della lira e la fuga di 30.000 miliardi della Banca d'Italia all'estero, nell'inutile tentativo di difendere un cambio fantomatico con il marco tedesco; se - approfittando di quella confusione economico-politica - l'onorevole Amato abbia presentato al Parlamento il disegno di legge che delegava il Governo a riformare sanita', pubblico impiego, previdenza e fisco; se, pochi giorni prima, il Consiglio di Stato abbia espresso un inascoltato parere negativo sull'articolo 2 di quel disegno di legge-delega (privatizzazione del pubblico impiego); se l'allora Presidente del Consiglio dei ministri abbia difeso ad oltranza il proprio progetto, con particolare riguardo all'articolo 3 (riforma delle pensioni), chiedendo esplicitamente al Parlamento il voto di fiducia per l'approvazione "a scatola chiusa" del disegno di legge (nell'ambito di discussioni vorticose, che non lasciavano spazio a riflessioni tecnico-giuridiche) e minacciandolo, in alternativa, di dimettersi dalla carica di capo del Governo col ventilato rischio di lasciare l'Italia senza guida; se la discussione del progetto sia stata resa ancor piu' confusa dalla proposizione continua d'emendamenti di matrice governativa o filogovernativa, onde quasi ad ogni emendamento il disegno di legge doveva spostarsi da un ramo all'altro del Parlamento, ed ogni volta il Governo poneva la questione di fiducia paralizzando il dibattito nell'interno della stessa maggioranza, e provocando la protesta di un'opposizione che lanciava insulti, alzava cartelli di protesta e si faceva cacciare dall'Aula; se, quindi, quel Governo abbia posto entrambe le Camere in condizione di non poter deliberare serenamente sul predetto disegno di legge-delega; se il Presidente della Repubblica si sia dunque trovato a promulgare una legge che, approvata dal Parlamento senza discussione, ha stravolto l'assetto giuridico dello Stato ed in pratica e' risultata per l'autorita' governativa una sorta di "mandato al cubo", considerando che: a) la proposta di delega e' partita non dal Parlamento, ma dal Governo dell'epoca, il quale risulta essersi dunque arrogato i pieni poteri inizialmente rifiutatigli dalle Camere; b) essa e' stata approvata senza discussione, per obbligo di fiducia; c) la farragine del testo la fa risultare come una "delega in bianco"; se, infine, un'obiettiva ricostruzione storica di tali vicende faccia rilevare analogie con l'attuale situazione d'incertezza politica ed istituzionale. 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MINISTRO MINISTERO SENZA PORTAFOGLIO (PER LA FUNZIONE PUBBLICA)
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